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A che punto è l’industria del riciclo italiana

Si è svolta oggi a Milano la Conferenza nazionale sull’industria del riciclo, promossa come consueto dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, presentando il nuovo rapporto Il riciclo in Italia 2023.

Nel documento si afferma che «l’Italia è oggi uno dei Paesi dell’Unione europea che registra le migliori performance nel settore del riciclo», stimando – tra rifiuti speciali e urbani – un tasso di riciclo del «72% nel 2020, uno dei dati più elevati dell’Ue (53% in media)».

Si tratta in realtà di una stima molto difficile da compiere con precisione, non solo per la necessità di confrontare tra loro performance di Paesi diversi ma soprattutto per l’intrinseca incertezza che riguarda in particolar modo i dati sulla gestione dei rifiuti speciali (che in Italia sono oltre il quintuplo degli urbani).

Basti osservare il caso dei rifiuti inerti, provenienti in primis dai lavori di costruzione e demolizione, ovvero il flusso di rifiuti più ingente generato in Italia: risultano avviati a riciclo per l’80% anche se meno della metà torna poi effettivamente sul mercato.

Le incertezze si riducono di molto e le performance migliorano di pari passo quando si guarda ai rifiuti da imballaggio, ovvero la frazione in assoluto più attenzionata in quanto assoluta protagonista (insieme ai rifiuti organici) della raccolta differenziata: gli imballaggi, dove il tasso di riciclo è arrivato al 71,5%. Non bisogna però dimenticare che gli imballaggi rappresentano appena il 7% di tutti i rifiuti che generiamo.

Secondo il rapporto restano da recuperare  i ritardi che permangono in alcune filiere (come i Raee), sviluppare nuovi settori (come il riciclo delle batterie e dei pannelli solari), rafforzare i mercati delle materie prime seconde in modo che si riduca il consumo di materie prime primarie e sviluppare alcune innovazioni in alcune filiere (come il riciclo chimico delle plastiche).

«L’anno che si sta per concludere – commenta Edo Ronchi, presidente della Fondazione nonché ex ministro dell’Ambiente – non è stato un anno facile per l’industria del riciclo in Italia: i costi ancora alti dell’energia, le difficoltà di mercato di diverse materie prime seconde e l’incertezza generata da alcune misure contenute nella proposta iniziale del Regolamento imballaggi hanno contribuito ad alimentare preoccupazioni per molte imprese del settore. Il quadro si va però schiarendo e migliorando anche perché il settore è ormai consolidato e resiliente».

Nello specifico, il rapporto analizza le performance di 19 filiere del riciclo, con il riciclo degli imballaggi che ha mantenuto un buon andamento e i tassi di recupero dei rifiuti d’imballaggio si sono assestati ormai su livelli di avanguardia in Europa: carta, vetro e acciaio primeggiano con un tasso di riciclo dell’81%.

Gli imballaggi in legno hanno aggiunto un tasso di riciclo del 63%, più del doppio rispetto al 30% previsto dall’Ue al 2030 e il 97% del materiale legnoso riciclato in Italia viene trasformato in pannelli truciolari utilizzati dall’industria del mobile e dei complementi d’arredo.

Gli imballaggi in alluminio hanno un tasso di riciclo del 74%, bel oltre il 60% previsto dall’Ue per il 2030 e in Italia si produce solo alluminio secondario da riciclo.

Invece il tasso di riciclo degli imballaggi in plastica è al 48,6% rispetto all’obiettivo Ue al 2030 del 50%, e il tasso di intercettazione delle bottiglie in Pet è del 68% lontano dal 77% previsto per il 2030.

L’Italia detiene il primato nel riciclo di rottami ferrosi in Europa (18,6 mln ton nel 2022) con il quali produce l’85% del suo acciaio e gli italiani insieme ai tedeschi sono i più ricicloni d’Europa per gli imballaggi con 160 kg/anno a testa

Per quanto riguarda altre filiere si registrano scenari differenti. Situazione ancora critica per i Raee con un tasso di riciclo del 34% contro l’obiettivo del 65% al 2019. Mentre risultano buone (almeno teoricamente) le performance per gli inerti da costruzione e demolizione che hanno raggiunto un tasso di recupero dell’80% ben superiore all’ obiettivo del 70%; sono state avviate a rigenerazione, inoltre, 178 kt di oli minerali usati, pari a circa il 98% del raccolto rispetto al 61% dell’Ue. Il tasso di riciclo di pile e accumulatori portatili è infine del 33,5% in lieve calo rispetto al 2021.

Tutte queste performance però restano inutili se i materiali avviati a riciclo non trovano effettivamente sbocco nel mercato, come nuovi prodotti. E il mercato delle materie prime seconde attraversa un momento particolare: tensioni internazionali e fluttuazioni dei prezzi incidono in maniera sempre più significativa.

Per alcuni materiali come i rottami di vetro o quelli ferrosi la domanda è elevata e il vantaggio economico è netto anche se un improvviso balzo dei prezzi del rottame di vetro ha messo in difficoltà il settore. Per altri come le plastiche da riciclo, le difficoltà sono maggiori perché la domanda non è molto elevata e la concorrenza dei polimeri vergini è più forte. Per alcuni materiali, poi, come gli aggregati riciclati di qualità o gli asfalti modificati con materiale da riciclo, le difficoltà di mercato derivano anche da barriere normative o da resistenze all’impiego.

Altre difficoltà di mercato per alcune materie prime seconde derivano anche da procedure che regolano la cessazione della qualifica di rifiuto, dopo un trattamento di riciclo (End of waste) che durano anni e che sono di complessa applicazione.

Da un’indagine fatta dall’Agenzia europea dell’ambiente, su otto mercati di materie prime seconde in Europa emerge che solo tre funzionano correttamente (alluminio, carta, vetro), mentre altri cinque (legno, plastica, rifiuti organici, rifiuti da costruzione e demolizione e tessili) “non sono ben funzionanti”.

«C’è bisogno di nuove tecnologie di riciclo chimico per la plastica – conclude il rapporto – Per far fronte alla domanda crescente di batterie che aumenterà di 14 volte al 2030, occorreranno tecniche avanzate per aumentare le quantità riciclate di rame, litio, nichel e cobalto provenienti dalle batterie esauste».

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