
È questo il succo del lapidario giudizio con cui il Wwf ha accolto il nuovo Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), appena approvato dal Governo dopo sette anni di lunga attesa.
«Essendo un Piano, riteniamo non ammissibile – sottolineano gli ambientalisti – che dopo 7 anni si proponga solo un documento di “possibili opzioni di adattamento” “che troveranno applicazione nei diversi strumenti di pianificazione, a scala nazionale, regionale e locale”. I Piani si chiamano tali proprio perché operano scelte, specie a livello nazionale e sovraregionale».
Cosa che invece il Pnacc approvato dal Governo Meloni non fa: oltre a inquadrare il problema del cambiamento climatico, il documento si limita infatti ad elencare 361 possibili azioni per aumentare la resilienza del territorio, ma senza indicare compiutamente costi o fonti di finanziamento.
«Il Piano va quindi preso come un primo passo: ora però tocca ai decreti attuativi e agli organi di governance cercare di correggere gli evidenti limiti», evidenziano dal Panda nazionale.
Tra i limiti messi in evidenza spiccano l’analisi degli impatti socioeconomici – il documento è «molto indietro» su questo fronte – e l’aver individuato le azioni necessarie «solo a livello urbanistico e territoriale» senza una «programmazione in senso generale».
Anche il tema dei finanziamenti e quello della governance rientrano tra i punti dolenti. «Il Piano non individua nuove risorse, ma suggerisce l’uso di risorse esistenti, e questo appare sia insufficiente che velleitario, essendo oltretutto nota la tendenza della macchina a continuare a operare nel modo conosciuto, cioè senza davvero incamerare e rendere prioritari i fattori legati al cambiamento climatico», sottolineano dal Wwf.
Per quanto riguarda infine la governance, quella prevista dal Piano «è molto discutibile, laddove assegna all’organo partecipativo (Forum) soprattutto compiti divulgativi, quasi da cassa di risonanza, o di mera “informazione” della società civile».
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