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Agricoltori in protesta mentre in Italia cresce lo spreco di cibo, vale oltre 13 mld di euro l’anno

Cade oggi la Giornata nazionale contro lo spreco alimentare, dando l’occasione per incrociare i numerosi e dolorosi paradossi che caratterizzano un sistema alimentare sempre più insostenibile.

Mentre gli agricoltori continuano a marciare in sella sui propri trattori per protestare contro il Green deal, e dunque di fatto contro politiche pensate per rendere sostenibile nel tempo la produzione agroalimentare, lo spreco di cibo in Italia ha ripreso a crescere.

Secondo i dati messi in fila dal rapporto “Il caso Italia” dell’Osservatorio Waste watcher international, elaborati con la consueta direzione scientifica di Andrea Segrè – che all’Università di Bologna insegna sia Economia circolare e politiche per lo sviluppo sostenibile, sia Economia e sviluppo del settore agroalimentare – lo spreco di cibo nel nostro Paese vale 13.155.161.999 euro l’anno.

Un dato vertiginoso, che include lo spreco a livello domestico (7,445 miliardi di euro), quello nella distribuzione (3,996 mld di euro), oltre al ben più contenuto spreco in campo e nell’industria.

Ciò significa che nel 2024 lo spreco alimentare costa circa 290 euro annui a famiglia, o 126 euro procapite, ma oltre allo spreco di denaro c’è quello di natura. Dai 75 gr buttati procapite nel 2023 si passa in questo inizio 2024 a quasi 81 gr di cibo gettato giornalmente nelle nostre case, pari a 566,3 grammi settimanali.

Tutto questo mentre l’effetto inflazione comporta scelte eloquenti e l’acquisizione di nuove abitudini alimentari. Un consumatore su due (49%) dichiara di potenziare l’acquisto del cibo online e 4 consumatori su 10 (39%) fanno la spesa cercando solo i prodotti alimentari in promozione.

Dal punto di vista socioeconomico, il ceto che si autodefinisce “popolare” (“mi sento povero e fatico ad arrivare alla fine del mese”) e che in Italia conta oltre 5,7 milioni di persone (oltre il 10% della popolazione, dati Istat) presenta un allarmante aumento del 280% di insicurezza alimentare rispetto alla media italiana.

«Se in un primo momento – spiega Segrè – l’effetto inflazione ha portato a misurare con decisione gli sprechi, prolungata nel tempo ha costretto i cittadini all’adozione di nuove abitudini ‘low cost’ per fronteggiare la crisi. Scegliere cibo scadente, meno salutare e spesso di facile deterioramento non comporta solo un aumento del cibo sprecato in pattumiera, ma anche un peggioramento nella propria dieta e nella sicurezza alimentare. Se la salute nasce a tavola, dal cibo scadente deriva l’aggravio dei costi sociali e ambientali. In definitiva: da poveri mangiamo e stiamo peggio, e sprechiamo persino di più. E questo circolo vizioso si riverbera sull’ambiente».

Che fare? «Se vogliamo davvero fare la differenza – argomenta Segrè – l’azione deve essere sinergica: ciascuno nel suo quotidiano, ma servono anche e soprattutto politiche pubbliche mirate a mitigare gli impatti dell’inflazione sulla sicurezza alimentare, con un focus particolare sulla tutela dei ceti sociali più vulnerabili».

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Written by redazione

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