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Altro che nuove trivelle, dal biometano l’Italia può ottenere il quintuplo del gas

Durante il Forum biometano in corso a Ecomondo, il Cib (Consorzio italiano biogas) e il Cic (Consorzio italiano compostatori) hanno aggiornato le stime su quanto gas rinnovabile potrebbe ricavare l’Italia dalla digestione anaerobica di scarti agricoli e raccolta differenziata dell’organico (Forsu).

Secondo le stime del Cic, già oggi vengono immessi in rete 130 milioni di metri cubi di biometano e biogas ottenuto da Forsu; sono inoltre in corso di realizzazione impianti che porteranno il dato fino a 300 milioni di mc al 2025, fino a traguardare la soglia di 1 miliardo di mc come potenzialità massima al 2030.

Tra realizzazioni ex novo e soprattutto ammodernamenti, sono infatti pronti a diventare operativi più̀ di 50 impianti di produzione di compost e biometano da frazione organica proveniente dalle raccolte differenziate.

«In un momento di crisi energetica come quello attuale – sottolinea Massimo Centemero, direttore del Cic – è più che mai necessario trovare alternative, ma ancora più importante valorizzare le fonti che già abbiamo e gli impianti in funzione o che aspettano solo di essere riconvertiti. Il biometano rappresenta il futuro sotto tanti aspetti, nonché un’occasione per favorire la decarbonizzazione e incrementare la sicurezza energetica nazionale».

Ai dati legati alla Forsu si aggiungono quelli del biometano in agricoltura. Secondo il Cib il settore del biogas agricolo, con più di 1700 impianti di biogas sul territorio nazionale rappresenta oggi circa l’88% del totale, con una potenza installata di 1014 MW.

Grazie all’implementazione delle misure del Pnrr dedicate al settore, si stima entro il 2026 una produzione di oltre 4 miliardi di mc di biometano agricolo, pari a circa il 30% del totale forniture di gas naturale che viene importato dalla Russia. Ma volgendo lo sguardo al 2030 il potenziale identificato dal Cib è ancora più ampio: si parla infatti di circa 6,5 miliardi di mc per il solo biometano agricolo.

«La pubblicazione del Decreto biometano in Gazzetta ufficiale è un primo passo per l’avvio di nuovi investimenti nel settore primario. Si tratta di un provvedimento molto atteso e che può portare il settore del biogas e biometano agricolo a offrire il proprio contributo per affrontare la crisi energetica, aggravatasi anche a causa del conflitto in Ucraina – argomenta Piero Gattoni, presidente del Cib – Ora è necessario passare al più presto alla fase attuativa del decreto, con l’adozione delle procedure applicative per le prime aste».

L’Italia, già secondo Paese in Europa per produzione di biogas e tra i principali al mondo, con un adeguato sistema legislativo a supporto potrebbe quindi raggiungere, in totale, una produzione di circa 8 miliardi di mc di biometano al 2030; una stima inferiore rispetto a quelle elaborate ad esempio da Legambiente, che indicavano 10 mld di mc come potenzialità (tra scarti agricoli e Forsu) al 2030, ma comunque di grande rilievo.

Basti osservare che col decreto sblocca trivelle, annunciato dal Governo Meloni in fase di conversione in legge del dl Aiuti ter, il ministro dell’Ambiente Fratin parla della possibilità di estrarre «una quantità di 15 miliardi di metri cubi sfruttabili nell’arco di 10 anni». Dal biometano si potrebbe ottenere 8 miliardi di mc l’anno, ovvero il quintuplo di quanto atteso dalle nuove trivellazioni, e anche dalle concessioni in essere (grazie alle quali si estraggono 3-5 mld di mc di metano fossile l’anno).

Ma la differenza non sta solo sull’energia disponibile, ma anche su diversissimi impatti dal punto di vista climatico: bruciare metano fossile accelera la crisi climatica, mentre il biometano rappresenta un carburante rinnovabile e CO2 neutrale, in quanto proveniente dalla naturale degradazione di rifiuti organici: in questo modo, la quantità di anidride carbonica liberata nell’intero processo – dal reperimento degli scarti organici alla loro combustione – viene bilanciata da quella assimilata dagli organismi viventi durante la loro crescita.

Eppure, troppe sindromi Nimby e Nimto, alimentate da informazioni fuorvianti in materia, bloccano la realizzazione degli impianti di digestione anaerobica sul territorio: un decano dell’ambientalismo italiano come Francesco Ferrante è arrivato (finora) a contare ben 183 casi del genere lungo lo Stivale.

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