La scelta, come per tutte le altre fonti rinnovabili che stentano ancora ad avanzare con nuove installazioni lungo lo Stivale, è sempre la solita: restare al palo della transizione ecologica oppure accelerare la messa a terra degli impianti.
L’Anev, che ha appena rinnovato il consiglio direttivo dell’associazione – confermando alla guida il presidente Simone Togni – ha le idee chiare in proposito.
«Oggi va effettuata una scelta di campo, concreta e coraggiosa, rendendo i proclami finalmente realtà. Il nostro Paese ha risorse energetiche pulite, come il vento, ha aziende virtuose che operano nel settore da anni e deve agire per rendere il pianeta più vivibile e sicuro per le generazioni future», spiega Togni.
Anche per Massimiliano Atelli, presidente delle Commissioni nazionali Via-Vas e Pnrr-Pniec, «la spinta che può venire dall’eolico nella ricerca di un mix energetico più avanzato è, per il nostro Paese, fondamentale. Fra onshore e offshore il potenziale è talmente alto da lasciar prevedere uno spostamento significativo sull’asse della maggiore autosufficienza energetica a vantaggio di famiglie e imprese italiane».
Nel merito il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto, intervenuto al convegno Anev al Gse, ostenta ottimismo: «Con il decreto Pnrr abbiamo eliminato molti passaggi burocratici per gli impianti eolici a terra e anche per l’off-shore, che rappresenta un vero potenziale nazionale da valorizzare».
Di fatto però le semplificazioni finora introdotte a livello governativo non bastano, in quanto l’iter autorizzativo degli impianti si blocca sempre più spesso sui territori, a causa di opposizioni di varia natura – burocratiche, da parte delle Regioni come delle Soprintendenze – che nel corso del 2022 hanno limitato la nuova potenza installata ad appena +3 GW di fronte ad un fabbisogno di circa +10 GW annui.
«Ancora oggi – conferma Giorgio Zampetti, dg di Legambiente – nonostante sia evidente la loro strategicità nella lotta alla crisi climatica e per la transizione energetica non più rinviabile, gli impianti eolici, così come tutti quelli di produzione energetica da fonti rinnovabili, continuano a subire la lentezza degli iter autorizzativi ed un ostracismo difficilmente comprensibile. Al contrario di altri, vedi i nuovi rigassificatori, che in pochi mesi riescono ad essere autorizzati e realizzati. Fondamentale quindi lavorare sull’accelerazione dei processi autorizzativi, ma anche sulla migliore integrazione possibile, attraverso la partecipazione e il protagonismo dei territori per diffondere un nuovo sistema energetico rinnovabile e distribuito».
In questo contesto potrebbero essere più facilmente superate anche le dicotomie pretestuose che oppongono lo sviluppo delle rinnovabili alla tutela del paesaggio, una contrapposizione ormai nettamente rifiutata da tutte le maggiori associazioni ambientaliste nazionali.
«Il paesaggio – argomenta nel merito Giuseppe Onufrio, dg Greenpeace – è destinato a mutare anche a causa della crisi climatica e la contrapposizione tra eolico e paesaggio è ideologica. Il paesaggio italiano è sempre stato un prodotto dell’uomo nelle diverse epoche storiche e questa che viviamo o sarà l’era delle rinnovabili, ben pianificate e nella quantità necessarie, oppure quella del rischio di collasso ecologico globale».
L’articolo Anev, sull’eolico in Italia urge una scelta di campo: oltre ai proclami servono gli impianti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.
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