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Banca mondiale, l’Italia tra i 20 Paesi al mondo con più sussidi impliciti ai combustibili fossili

Un nuovo rapporto della Banca mondiale, Detox development, torna ad accendere un faro sui sussidi – espliciti e impliciti – alle fonti fossili, stimati a livello mondiale in oltre 7.000 miliardi di dollari l’anno: circa l’8% del Pil globale.

Un ammontare di risorse enorme, che impatta in modo determinante sulla qualità degli ecosistemi e dunque della vita umana.

«Aria, terra e oceani puliti sono fondamentali per la salute umana e la nutrizione e sono alla base di gran parte dell’economia mondiale. Eppure soffrono di degrado, cattiva gestione e uso eccessivo a causa dei sussidi governativi», sottolineano dalla Banca mondiale.

Ad esempio, l’agricoltura è il più grande utilizzatore di terra al mondo, nutre l’umanità e offre lavoro a 1 mld di persone (a partire dal 78% dei più poveri) ma «è sovvenzionato in modi che promuovono l’inefficienza, l’iniquità e l’insostenibilità». Tali sussidi sono responsabili del 14% della deforestazione, incentivano la diffusione di malattie zoonotiche (a partire dalla malaria) e aumentano la siccità.

Lo stesso vale per la pesca: gli oceani offrono cibo per 3 mld di persone, ma sono in uno stato di crisi globale – oltre il 34% delle attività di pesca è segnato dal sovrasfruttamento – esacerbato da «regimi di libero accesso e sussidi per l’aumento della capacità di pesca».

Dopo la terra e l’acqua, la Banca mondiale si sofferma sull’inquinamento atmosferico, sottolineando che «la scarsa qualità dell’aria è responsabile di circa 1 decesso su 5 a livello globale. E come mostrano le nuove analisi in questo rapporto, un numero significativo di queste morti può essere attribuito ai sussidi ai combustibili fossili».

Un problema che vede l’Italia in prima fila, dato che nessun Paese europeo mostra performance peggiori del nostro a livello di inquinamento atmosferico, con 52.300 morti premature l’anno da PM2.5, 11.200 da NO2 e 6.067 per l’O3; proprio nei giorni scorsi è stato dimostrato inoltre che la scarsa qualità dell’aria, soprattutto nel nord Italia, è stata tra le cause che hanno aumentato il numero di malati e di morti da Covid-19 durante la pandemia.

Eppure, l’Italia è in prima fila anche nel contribuire ad alimentare il problema. Non è semplice quantificare con esattezza l’ammontare dei sussidi alle fonti fossili garantiti in un Paese, dato che il risultato cambia (ovviamente) in base alla metodologia considerata.

La Banca mondiale ha adottato lo stesso approccio seguito dal Fondo monetario internazionale, ponendo così l’Italia tra i venti Paesi al mondo che garantiscono più sussidi impliciti alle fonti fossili: nel 2020 (dunque escludendo gli interventi destinati a contenere il caro-energia per famiglie e imprese nel post-Covid) si parla di 41 mld di dollari o 676 dollari procapite, il 2,1% del Pil nazionale.

Si tratta per la quasi totalità di sussidi impliciti, ovvero di una sottoquotazione del prezzo dei combustibili fossili, che in tal modo «non riflette pienamente i vasti danni sociali e ambientali che provocano, inclusi l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico». Le famose esternalità negative.

Tale nodo mette in luce un problema ben noto nell’ambito della fiscalità ecologica: introdurre tasse verdi (o togliere sussidi fossili) comporta spesso un intervento regressivo, ovvero che grava più sui redditi bassi di quelli alti.

Per questo è indispensabile accompagnare simili misure con interventi correttivi o destinazioni del gettito adeguate (ad esempio a favore di interventi contro la povertà), in modo da renderli equi e socialmente accettabili. Una strada che in Italia sarebbe facilmente percorribile, dato che – a dispetto di una Costituzione che mette l’accento sulla progressività fiscale – il 5% più ricco della popolazione gode di un’incidenza dei prelievi minore del 95% più povero.

Eppure il Governo Meloni ha deciso di muoversi in direzione esattamente contraria, adottando scelte politiche (a partire dall’abolizione del Reddito di cittadinanza) che stanno aumentando già nel corso di quest’anno la disuguaglianza, come peraltro dichiarato esplicitamente dell’esecutivo nella sua Relazione sugli indicatori Bes.

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