I ricercatori hanno infatti osservato che l’energia che scuote i Campi Flegrei viene rilasciata nel sottosuolo principalmente in prossimità di due livelli – ovvero superfici di separazione tra rocce con proprietà fisiche e chimiche diverse – situati rispettivamente a circa 3 e a 1-1,5 km di profondità.
Al di sotto del livello più profondo, le rocce passano da un comportamento fragile, cioè sono soggette a rottura determinando i terremoti, a uno duttile, in cui si deformano plasticamente senza rompersi.
«Qui avviene il processo di accumulo di fluidi e/o di magma che determinerebbe l’aumento di pressione e il sollevamento della caldera – spiega Nicola Alessandro Pino, ricercatore Ingv e co-autore dello studio – L’innalzamento potrebbe continuare fino a quando lo stiramento della crosta consentirà il maggiore deflusso di gas in superficie, con conseguente depressurizzazione della sorgente del sollevamento, come pensiamo sia avvenuto durante la fase terminale della crisi bradisismica del 1982-1984, iniziata con lo sciame del 1° aprile 1984».
A differenza del periodo 1982-1984, durante l’attuale fase di sollevamento in corso dal 2005, la sismicità è concentrata maggiormente nel settore orientale di Pozzuoli, al di sotto dell’area Solfatara-Bagnoli.
«Questo suggerisce che, negli ultimi anni – osserva Stefania Danesi (Ingv), primo autore dello studio – la risalita di fluidi di origine magmatica, con conseguente indebolimento delle rocce, sia avvenuta quasi esclusivamente in questo settore della caldera, dove il nostro studio ha evidenziato un innalzamento della profondità della transizione delle caratteristiche delle rocce da fragili a duttili».
Come aggiunge Christopher Kilburn dall’Ucl, gli innalzamenti del suolo nei Campi Flegrei nelle ultime decadi «favoriscono lo stiramento e l’eventuale rottura parziale della crosta. Questo processo facilita il passaggio dei fluidi accumulati nel sottosuolo e quindi una perdita di pressione in profondità».
Al momento i risultati di questa ricerca non hanno alcuna implicazione diretta su misure che riguardano la sicurezza della popolazione, ma questi risultati rappresentano un contributo potenzialmente utile in futuro per affinare gli strumenti di previsione e prevenzione di protezione civile.
«Il monitoraggio dell’attività dei Campi Flegrei nel prossimo futuro potrà indicare se gli sciami sismici degli ultimi mesi rappresentino o meno l’inizio di questa fase», conclude Danesi.
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