Come noto, la Multiutility rappresenta la società sbocciata a gennaio dalla fusione per incorporazione in Alia di Acqua toscana, Consiag e Publiservizi, per riunire sotto un’unica regia la gestione dei servizi pubblici toscani.
Il parere richiesto alla Corte dei conti verteva in particolare sul conferimento del patrimonio di Consiag, comprensivo «delle reti e degli impianti idrici comunali di cui era conferitaria» già prima dell’ingresso nella Multiutility, come evidenzia il coordinamento di comitati e associazioni No Multiutility.
Secondo tali comitati «il progetto di aggregazione societaria, prevedendo l’apertura all’ingresso dei privati e alla quotazione in borsa della società incorporante, viola nella sostanza i principi e le norme» relative all’incedibilità della proprietà delle reti idriche e degli altri beni demaniali. Nel merito, la Corte dei conti toscana ha risposto quanto segue:
Qualora uno o più enti locali, avvalendosi della facoltà loro concessa dall’art.21, comma 5, D.Lgs. n.201/2022, abbiano conferito la proprietà di reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali essenziali alla gestione del servizio pubblico locale ad una “società a capitale interamente pubblico, che è incedibile”, tale società può poi essere interessata a operazioni di fusione societaria, propria o per incorporazione, purché (ed è valutazione concreta ovviamente rimessa agli enti interessati) all’esito della fusione resti assicurata la titolarità di reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali in capo a una società a capitale interamente pubblico.
Dunque è stato perfettamente legittimo conferire Consiag all’interno della Multiutility, ma la proprietà dei beni demaniali dovrà restare interamente pubblica.
Per «evitare inutili strumentalizzazioni» da parte del coordinamento No Multiutilty, da Alia Multiutility Toscana dichiarano che «la titolarità dei beni demaniali resterà ovviamente in mano pubblica».
Il principio richiamato dalla Corte dei conti «non ha alcun impatto sul processo di aggregazione – sottolineano dalla società – Peraltro, si condivide pienamente il principio giuridico contenuto nella citata sentenza in base al quale la titolarità dei beni afferenti al demanio indisponibile, anche ai sensi dell’articolo 826 e seguenti del Codice civile, debba essere necessariamente pubblica. Nella fase dell’individuazione delle più idonee modalità di gestione delle singole concessioni di servizio idrico integrato, tale principio sarà indubbiamente rispettato con le modalità più rigorose possibili, come peraltro già avvenuto nella fattispecie paragonabile di Consiag servizi comuni. L’attività industriale d’interesse della Multiutility viene esercitata in concessione e a prescindere dal presupposto della titolarità delle infrastrutture e degli impianti».
Una risposta che non soddisfa i comitati, che rincarano la dose: «Stiamo analizzando e approfondendo altre operazioni e situazioni che lasciano perplessi, non mancheremo di sottoporle a chi ha la competenza del giudizio, in primis cittadini ed utenti. Rinnoviamo l’invito ad annullare tutto il percorso sin qui realizzato».
A prescindere dall’eventuale ingresso in Borsa della Multiutility – ad oggi previsto entro il 2024 – la proprietà dei beni demaniali resterà comunque in mano ai Comuni. Non si tratterebbe di un assetto inusuale: già oggi le principali utility italiane, come Iren (a maggioranza pubblica), A2A (col 50% delle quote in mano ai Comuni di Brescia e Milano), Hera (col 45,8% dell’azionariato a soci pubblici) o Acea (posseduta per il 51% dal Comune di Roma) gestiscono servizi idrici e sono al contempo quotate in Borsa.
Nel merito è utile evidenziare che il perimetro societario attuale, imperniato prevalentemente sulla Toscana centrale, vede alla guida della Multituility i Comuni di Firenze (37,1%), Prato (18,1%), Pistoia (5,54%) Empoli (3,4%) ed altri comuni toscani (35,9%).
Si tratta dunque ad oggi di un soggetto interamente pubblico, e saranno dunque i Comuni a decidere del suo destino. E anche in caso di sbarco in Borsa, almeno il 51% delle quote è previsto resti in mano pubblica.
L’opportunità di una quotazione viene valutata in base all’esigenza di racimolare i capitali necessari a investire su impianti e infrastrutture necessari alla transizione ecologica nell’ambito della gestione rifiuti, della produzione di energia e del servizio idrico integrato.
Per quest’ultimo comparto, ad esempio, già oggi la Toscana è la regione che investe di più sulle infrastrutture idriche, e da giugno sta lavorando al nuovo Piano di tutela dell’acqua per migliorare ancora; i gestori regionali, coordinati dall’Autorità idrica toscana, sono riusciti a ricavare dal Pnrr oltre 200 mln di euro per nuovi investimenti nel ciclo idrico, ma le esigenze del territorio di fronte all’avanzare della crisi climatica sono ben più ampie.
I capitali per investimenti dovranno dunque arrivare o dalle tariffe pagate dai cittadini, o tramite altri strumenti come la quotazione in Borsa. In ogni caso, la scelta rimane in capo ai Comuni.
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