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Covid-19, più malati e morti in Italia a causa dell’inquinamento atmosferico

Dopo tre anni di studi si è conclusa con un risultato chiaro l’indagine epidemiologica nazionale EpiCovAir, confermando il legame tra inquinamento atmosferico e impatto della pandemia Covid-19 nel nostro Paese.

Al contrario di quanto accaduto per l’ipotesi “carrier” – secondo la quale il particolato atmosferico avrebbe facilitato il trasporto del virus Sars-Cov-2 in fase aereo dispersa –, l’indagine evidenzia infatti che la cattiva qualità dell’aria ha comportato più malati e più morti da Covid-19 in Italia.

«Esiste un legame tra incidenza di infezioni da Sars-Cov-2, mortalità per Covid-19 ed esposizione di lungo periodo (2016-2019) ad alcuni fra i principali inquinanti atmosferici nel nostro Paese, quali il biossido di azoto (NO2) e il particolato atmosferico (PM2.5 e PM10)», spiegano dall’Istituto superiore di sanità (Iss), che ha condotto l’indagine insieme all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), in collaborazione con la Rete italiana ambiente e salute (Rias).

L’ipotesi era già stata avvalorata da autorevoli studi – ad esempio quello a prima firma del ricercatore italiano Dario Caro, ma anche quelli elaborati in seno alle Università di Cambridge e Harvard o del Max Planck Institute –, evidenziando come l’inquinamento atmosferico renda il sistema respiratorio più suscettibile all’infezione e alle complicazioni da coronavirus.

«I risultati conseguiti da EpiCovAir – conferma Ivano Iavarone, coordinatore del progetto – sono coerenti con le più recenti evidenze disponibili nella letteratura scientifica internazionale, e supportano la necessità di agire tempestivamente per ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici ed il loro impatto sanitario, in linea con la recente proposta della Commissione europea di una nuova Direttiva sulla qualità dell’aria e di contrasto alla crisi climatica».

La stessa direttiva che, paradossalmente, adesso le regioni padane – le più colpite dal Covid-19 anche a causa della loro cattiva qualità dell’aria – vorrebbero affossare.

Eppure i numeri parlano chiaro. L’indagine epidemiologica nazionale ha riguardato circa 4 mln di casi e 125 mila decessi in 7.800 Comuni italiani, verificando che «la distribuzione geografica dell’infezione e dei decessi per Covid-19 mostra incidenza e letalità più alte nelle aree del nord Italia, che hanno anche più elevati livelli di inquinamento atmosferico di lungo periodo».

In particolare, le associazioni con l’inquinamento atmosferico (più forti tra i soggetti anziani) rivelano che in Italia l’incidenza di nuovi casi cresce significativamente dello 0.9%, dello 0.3% e dello 0.3% per ogni incremento di 1 microgrammo per metro cubo (μg/m3) nei livelli di esposizione di lungo periodo a NO2, PM2.5 e PM10, rispettivamente.

Lo stesso vale per i tassi di letalità per Covid-19 che aumentano dello 0.6%, dello 0.7% e dello 0.3% ad ogni innalzamento di 1 μg/m3 nell’esposizione cronica rispettivamente agli stessi inquinanti.

«Sotto questo punto di vista, e non potendo escludere futuri rischi epidemici – sottolineano i presidenti Iss e Ispra, Silvio Brusaferro e Stefano Laporta – sarà importante individuare strategie sinergiche ed intersettoriali di prevenzione integrata che su scala europea, nazionale, regionale e locale accelerino l’implementazione di politiche improntate sui co-benefici, attraverso interventi strutturali in settori chiave quali i trasporti, l’industria, l’energia e l’agricoltura».

Del resto non ci sono “solo” i rischi legati ad una nuova, possibile pandemia – sempre più probabile man mano che avanza la distruzione degli ecosistemi per mano umana – da contenere. Il Covid-19 in Italia ha fatto circa 200mila morti, ma ogni anno l’inquinamento atmosferico miete le sue vittime: secondo i dati messi in fila dall’Agenzia europea dell’ambiente, si tratta di 52.300 morti premature da PM2.5, 11.200 da NO2 e 6.067 per l’O3. Sotto questo profilo, nessun paese dell’Ue fa peggio dell’Italia.

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