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Decreto aree idonee per le rinnovabili, la Toscana dovrà installare almeno 4,2 GW al 2030

Il decreto sulle aree idonee allo sviluppo delle energie rinnovabili avrebbe dovuto essere approvato al massimo 13 mesi fa, mentre è arrivato oggi in bozza alla Conferenza unificata per essere valutato da Regioni, Province autonome e Comuni.

Si tratta comunque di un grande passo avanti per la lotta alla crisi climatica e al caro bollette, in quanto passa da questo decreto la possibilità di superare uno dei più grandi colli di bottiglia nell’installazione di nuovi impianti rinnovabili, ovvero le Regioni, che dovranno rispettare nuovi stringenti criteri in fatto di burden sharing: ovvero di condivisione dell’onere – o meglio dell’opportunità – nell’installare nuovi impianti rinnovabili sufficienti a raggiungere l’obiettivo nazionale.

Nella bozza di decreto sulle aree idonee, tale obiettivo nazionale si traduce in +80 GW al 2030 (a fronte di una proposta confindustriale che arriva a +85 GW), chiamando ogni Regione e Provincia autonoma a dare il proprio contributo, anche se si parte con un “trucco” contabile: per raggiungere i +9,4 GW attesi quest’anno a livello nazionale, il conteggio parte dagli impianti “di nuova costruzione entrati in esercizio dal 1°gennaio 2022”, fondendo di fatto due anni in uno.

Un approccio del resto coerente con la bozza di decreto nel suo complesso, che rimanda gli sforzi maggiori agli anni più distanti. Basti osservare che, secondo questa ripartizione, dal 2029 al 2030 dovranno essere installati 16,2 GW di nuovi impianti, quando finora il record nazionale (risalente al 2011) è pari a 11 GW.

Per quanto riguarda la Toscana in particolare, la bozza di decreto si traduce nella necessità di installare almeno 4,2 GW di nuovi impianti al 2030, a partire da 261 MW quest’anno. Un impegno da metà classifica, dato che ci sono 8 Regioni a cui sono richiesti sforzi maggiori – Sicilia, Lombardia, Puglia, Emilia-Romagna, Sardegna, Veneto, Piemonte, Lazio –, ma comunque sfidante rispetto al trend degli ultimi anni.

Col 51% dell’elettricità prodotta sul territorio da fonti rinnovabili, la Toscana rappresenta ancora una delle Regioni più virtuose del Paese, ma nel corso del 2022 sono stati installati appena 105 MW di nuovi impianti. Per la fonte rinnovabile più importante a livello locale – la geotermia –, l’ultima centrale entrata in esercizio risale addirittura a 9 anni fa.

Ma non è certo solo la Toscana ad aver rallentato il ritmo. Nel triennio 2019-21 l’Italia è stata 22esima in Europa per tasso di crescita medio delle rinnovabili, e anche nel 2022 non è andata molto meglio con appena +3,4 GW rispetto ai +10 GW richiesti per raggiungere i target RePowerEu. Come mai?

I motivi spaziano dalla burocrazia alle Soprintendenze, dalle sindromi Nimby e Nimto fino appunto ai colli di bottiglia nelle Regioni.

A livello nazionale ci sono 340 GW in attesa di autorizzazione e le procedure di Valutazione d’impatto ambientale (Via) sono divise fra Stato e Regioni sulla base della potenza degli impianti, ma il percorso autorizzativo passa nella quasi totalità dei casi attraverso l’Autorizzazione unica (Au) in capo alle Regioni (quando queste hanno in carico sia la Via che l’Au si parla di Provvedimento autorizzatorio unico regionale, o Paur): in ben 11 casi su 13, come mostra il report di Legambiente Scacco matto alle rinnovabili, è la Regione il soggetto competente in materia di rilascio delle autorizzazioni.

Il decreto sulle aree idonee potrebbe finalmente aiutare a superare questo blocco, e non solo indicando gli obiettivi di burden sharing. «Le aree idonee – spiega il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto – garantiscono un iter burocratico più snello e l’innalzamento delle soglie di potenza degli impianti per le valutazioni ambientali. Il ministero  ha anche intrapreso un percorso di digitalizzazione dei processi, tra i quali rientra l’adozione a breve di una Piattaforma digitale unica per la presentazione delle istanze».

La bozza di decreto mira infatti a “stabilire principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili”.

In particolare, entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto ogni Regione dovrà predisporre una nuova legge che individui le aree idonee all’installazione di nuovi impianti rinnovabili, integrare di conseguenza i propri strumenti di governo del territorio e di pianificazione energetica, e modificare se necessario la lista della aree non idonee.

Entro 90 giorni dal termine sarà il ministero dell’Ambiente, col supporto di Gse e Rse, a monitorare gli adempimenti, oltre a verificare – entro il 31/7 di ogni anno – il raggiungimento degli obiettivi di burden sharing.

Se le leggi regionali non saranno approvate nei tempi previsti, il ministero potrà proporre alla presidenza del Consiglio dei ministri degli schemi di atti normativi sostitutivi. Dal 2026, se gli obiettivi di burden sharing non saranno rispettati, sarà ancora una volta il Governo nazionale a dover esercitare i poteri sostitutivi.

Ed è sempre la bozza di decreto a fissare i criteri che Regioni e Province autonome dovranno seguire per individuare le aree idonee. Qualche esempio? Sono considerate come idonee “almeno” i siti “ove sono già installati impianti della stessa fonte e in cui vengono realizzati interventi di modifica, anche sostanziale, per rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione”, così come “le cave e miniere cessate, non recuperate o abbandonate”, ma anche “le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela” né ricadono “nella fascia di rispetto” fissata in “3 chilometri per gli impianti eolici e di 500 metri per gli impianti fotovoltaici”.

Tale sviluppo sarà prioritario su tutto il pregresso: le leggi regionali adottate ai sensi del presente decreto, si legge nella bozza, “prevalgono su ogni altro regolamento, programma, piano o normativa precedentemente approvato a livello regionale, provinciale o comunale, ivi inclusi quelli in materia ambientale e paesaggistica”.

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