Gentili Senatori,
abbiamo perso il conto del numero dei decreti che si sono succeduti da quando, il 26 luglio 2012, la magistratura jonica sequestrò gli impianti dell’area a caldo del siderurgico tarantino. Allora tutto il Paese scoprì finalmente le condizioni disastrose, a scapito della salute dei cittadini oltre che dei lavoratori e dell’ambiente, in cui per decenni era stata garantita la “strategica” produzione dell’acciaio a ciclo integrale, il più inquinante.
Salvaguardare il lavoro e l’ambiente è stato il motivo conduttore con cui sono stati giustificati tali decreti. Alla luce dei fatti, dopo circa 11 anni, non si è riusciti a salvaguardare né il lavoro (le continue manifestazioni dei lavoratori lo dimostrano) né la salute e né l’ambiente (lo dimostrano vari e autorevoli studi epidemiologici oltre che gli episodi di picchi di benzene cancerogeno o la particolare patogenicità delle polveri originate dallo stabilimento siderurgico).
In questi anni abbiamo sentito tante dichiarazioni su come in un futuro, spostato sempre più avanti, potrà diventare sostenibile uno stabilimento considerato strategico. Ma non è mai stato presentato un piano industriale che desse garanzie sul fronte ambientale, sanitario e lavorativo. A maggio del 2019 il Ministero dell’Ambiente, su richiesta del sindaco di Taranto, dispose il Riesame dell’A.I.A., la Autorizzazione Integrata Ambientale: a distanza di quasi 4 anni ancora il procedimento non risulta concluso: aspettiamo che qualche voce autorevole ne chieda conto al Ministero dell’Ambiente.
Questo decreto non solo segue le orme di alcuni decreti passati, ma compie un ulteriore salto di qualità nello sbilanciamento verso la produzione dell’acciaio, senza curarsi di introdurre norme a tutela della salute.
L’unico obiettivo del decreto, infatti, sembra essere il conseguimento di un aumento della produzione, mentre non c’è traccia dell’introduzione di norme poste a tutela del diritto alla salute, a partire dalla introduzione di una valutazione preventiva dell’impatto sanitario degli impianti in esercizio, richiesta da Legambiente sin dal 2013, che stabilisca in maniera scientifica quanto acciaio si possa produrre a Taranto senza rischi inaccettabili per la salute di lavoratori e cittadini.
Siamo nella situazione paradossale per cui lo stabilimento di Acciaierie d’Italia oggi- e già quello Ilva prima- è da una parte definito “impianto di interesse strategico nazionale” e dall’altra escluso dall’elenco degli impianti per i quali la legge vigente prevede la Valutazione di Impatto Sanitario (VIS) nell’ambito della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), in accordo con quanto previsto dal Decreto Legislativo 16 giugno 2017 n° 104, che all’art. 12 stabilisce gli impianti da sottoporre a VIS entro VIA in conformità̀ alle linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità.
La qualità dell’aria di Taranto è sicuramente migliorata rispetto a quando l’Ilva arrivava a produrre oltre 10 milioni di tonnellate all’anno di acciaio, ma non può ancora essere definita “buona”, anche a causa dell’origine prevalentemente industriale dell’inquinamento che, in base a rigorosi studi scientifici (MISA, EPIAIR), rende più patogene le polveri tarantine rispetto a quelle che si riscontrano nelle altre città. I miglioramenti sotto il profilo delle emissioni appaiono dipendenti in maniera rilevante dalla drastica riduzione della produzione avvenuta in questi anni e tanto lascia presumere che possa verificarsi un grave, intollerabile peggioramento delle emissioni in caso di aumento della produzione, anche a causa dell’obsolescenza degli impianti e di una loro manutenzione inadeguata che potrebbero limitare l’efficacia delle misure adottate in base all’A.I.A. Peraltro L’O.M.S., l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha rivisto, riducendoli drasticamente, i valori limite suggeriti per una serie di inquinanti, a partire da PM10, PM 2,5 e benzoapirene che incidono fortemente sulla realtà jonica, portandoli a livelli molto più bassi rispetto agli attuali limiti di legge italiani ed europei: in attesa di un doveroso adeguamento normativo sarebbe paradossale non tenerne conto in una situazione critica come quella tarantina.
Proprio l’O.M.S, in uno studio specifico pubblicato un anno fa, ha confermato la validità dei rapporti prodotti fin dal 2013 da Arpa e Aress Puglia e Asl Taranto circa la Valutazione del Danno Sanitario provocato dalle emissioni degli impianti ex Ilva. L’ultima V.D.S., prodotta a maggio del 2021, nell’ambito del procedimento di riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata allo stabilimento siderurgico jonico, attesta la permanenza di un rischio sanitario residuo non accettabile relativo ad uno scenario di produzione ottenuta con gli attuali impianti di 6 milioni di tonnellate/anno di acciaio, cioè la produzione attualmente autorizzata. Nel Rapporto di Valutazione del Danno Sanitario si indica infatti ” … per l’area del quartiere Tamburi, l’esposizione lifetime alle concentrazioni di PM10 di 1,61 μg/m3 è associata al rischio di sviluppare 2,7 decessi per tumore polmonare ogni 10.000 abitanti, in eccesso rispetto alla soglia definita di 1:10.000 (1 x 10-4). Analogamente … l’esposizione lifetime alle concentrazioni di PM2,5 di 0,77 μg/m3 è associata al rischio di sviluppare 1,9 decessi per tumore polmonare ogni 10.000 abitanti, in eccesso rispetto alla soglia definita di 1:10.000, anche considerando il limite inferiore dell’intervallo di confidenza del rischio relativo. Pertanto, considerando i criteri di accettabilità US-EPA, …per l’area del quartiere Tamburi, è necessario implementare interventi specifici finalizzati a ridurre l’esposizione della popolazione“.
Una valutazione che impone una consistente riduzione della produzione autorizzata per l’area a caldo, sino alla chiusura se persistessero evidenze sanitarie negative pur in presenza di tale riduzione, per evitare il rischio di danni inaccettabili alla salute di lavoratori e cittadini.
Legambiente ritiene che sia improcrastinabile fare tutto ciò che è necessario per evitare che produrre acciaio possa tradursi in nuove morti premature evitabili, da aggiungere alle tante in eccesso già rilevate fino ad oggi. Per questo riteniamo necessario e urgente che si stabilisca con chiarezza se e quanto è possibile produrre con l’attuale assetto produttivo, e con quello futuro, senza rischi inaccettabili per la salute e, a tal fine, richiediamo che, in sede di conversione del decreto, si inserisca l’obbligo di effettuare immediatamente, e con effetto vincolante sulla capacità produttiva massima dello stabilimento siderurgico, una valutazione preventiva di impatto sanitario secondo le linee-guida VIS definite dall’ISS e adottate dal Ministero della Salute.
Rammentiamo che la valutazione dell’impatto sanitario – già espressamente disciplinata nell’ordinamento legislativo italiano dall’articolo 12 del D.Lgs. 104/2017 per le centrali termiche, i grandi impianti di combustione, gli impianti di raffinazione, gassificazione, liquefazione – in base alla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 983 dell’11 febbraio 2019, è comunque, necessaria quando le concrete evidenze istruttorie ( nel procedimento di valutazione di impatto ambientale e nella procedura per il rilascio dell’A.I.A.) dimostrino la sussistenza di un serio pericolo per la salute pubblica.
Sotto un profilo giuridico, l’esimente e le altre disposizioni in materia penale contenute nel Decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2 Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale – sono, per Legambiente, ingiustificati e presentano profili di incostituzionalità, sia in generale, sia in considerazione del tempo già trascorso dal sequestro dagli impianti, che supera i 10 anni, senza che si siano ancora completati gli interventi previsti dalla Autorizzazione Integrata Ambientale.
Con gli articoli 5 e 6 si introducono norme che limitano la valutazione del singolo caso da parte del magistrato, sia rispetto ai provvedimenti da adottare che alle modalità di esecuzione, impongono la prosecuzione delle attività anche nelle more dell’attuazione di prescrizioni volte ad eliminare le situazioni di pericolo rilevate, sottraggono talune decisioni al giudice naturale precostituito spostandole al Tribunale di Roma. E questo in presenza di una situazione impiantistica che ha portato la Corte di Assise di Taranto, a maggio del 2022, a negare il dissequestro degli impianti.
Con l’articolo 7 si ripropone l’esimente penale (il cosiddetto “scudo penale”), addirittura estendendolo a chiunque, già oggetto di sentenza da parte della Corte Costituzionale (la n° 58 del 2018) e di successive modifiche da parte del Parlamento che hanno evitato un nuovo pronunciamento della Consulta, per il quale riteniamo vi fossero tutti i requisiti per una declaratoria di illegittimità costituzionale, considerato che la sentenza n° 85 del 2013 della Corte Costituzionale autorizzava la prosecuzione della produzione anche in virtù della indicazione di un tempo ben definito, pari a 36 mesi, valutato all’epoca dal legislatore come necessario e sufficiente alla esecuzione delle opere che avrebbero dovuto eliminare i rischi di commissione di reati.
Siamo quindi di fronte a disposizioni che, se confermate, costituirebbero una grave manomissione dell’autonomia della magistratura e che, a nostro avviso, andrebbero oltre ogni ragionevole bilanciamento tra l’interesse all’approvvigionamento di beni e servizi essenziali per il sistema economico nazionale, da un lato, e valori costituzionalmente garantiti come la salute, l’ambiente ed il lavoro, dall’altro. Non è in alcun modo accettabile oggi, dopo più di dieci anni dal sequestro degli impianti, e quando il termine inizialmente previsto per il loro adeguamento è ampiamente trascorso, voler imporre ai cittadini di Taranto ed ai lavoratori dello stabilimento una totale perdita di garanzie circa reati che potrebbero danneggiarli, anche gravemente. Per questo riteniamo che gli articoli 5, 6, 7 e 8 vadano soppressi.
In merito al cosiddetto “scudo penale” non si può non far riferimento all’ordinanza con la quale il G.I.P. presso il Tribunale di Taranto tacciava di illegittimità costituzionale la prima ipotesi, allora approvata, ristretta ai gestori e delegati, e successivamente espunta dal Parlamento in sede di conversione del D.L. Con ciò evitando che la Consulta si esprimesse. Intanto è significativo proprio il fatto che il Parlamento avesse recepito i rilievi avanzati dal G.I.P. ritenendo inutile un pronunciamento della Corte Costituzionale: riproporre, oggi, a distanza di altri anni il medesimo (finanche peggiorativo) testo di legge è assolutamente inammissibile. Innanzi tutto proprio per l’ulteriore decorso del tempo se è vero che la prima censura all’epoca avanzata (e mutuata dai rilievi delle sentenze della Consulta) fu proprio quella della mancanza di un rigido arco temporale all’interno del quale provare a ipotizzare il contemperamento tra le esigenze produttive e i diritti fondamentali compressi dalle prime.
Rilevava il G.I.P.: “Ciò significa che per undici anni dal sequestro dello stabilimento – 25 luglio 2012 – quell’impresa (che, lo si ripete, è stata già ritenuta, in forza di provvedimenti emessi da giudici del tribunale jonico, pericolosissima per la salute della popolazione, dei lavoratori e dell’ambiente circostante) è stata messa nelle condizioni di continuare a produrre, con la garanzia, per i suoi gestori (e soggetti da essi delegati), di non dover essere chiamati a rispondere dei reati eventualmente commessi in violazione delle norme, di diritto comune, poste a presidio della salute, dell’incolumità pubblica e della sicurezza sul lavoro! La varietà degli interventi normativi e le palesi deroghe alle norme comuni (e finanche ai principi generali dell’ordinamento giuridico, disinvoltamente elusi al fine di consentire all’azienda di mantenere i livelli produttivi ed occupazionali: si pensi alla possibilità ad essa concessa di commercializzare prodotti in sequestro), presenti nella legislazione speciale che riguarda lo stabilimento ILVA di Taranto, portano a domandarsi se non sia stato creato un sottosistema penale connesso a questa particolare realtà industriale, confinata in zone di difficile perseguibilità, se non di sostanziale irrilevanza penale, dove la tutela di beni primari (quali la salute e lo stesso diritto alla vita) deve subire vistose deroghe per garantire la continuità di impresa e, comunque, per ragioni economiche. Taluni commentatori hanno, infatti, parlato di aree di liceità condizionata alla produttività ed al profitto, al cui interno il disvalore del macro danno ambientale viene ridotto a “risultato del collasso di precauzioni adeguate” o “della impossibilità di adottare sistemi di prevenzione o neutralizzazione del rischio efficaci“.
La questione è ancor più grave ove si consideri che con questa (come con la vecchia) norma si vuole introdurre una specifica, più ampia e riferita a soggetti determinati, ipotesi di scriminante della condotta illecita, ritenendo insufficienti le già ampie tutele contro applicazioni ingiuste delle norme penali esistenti nel nostro ordinamento, sia in relazione alla disciplina della necessità di una condotta consapevolmente colpevole sia in relazione all’applicazione di quelle scriminanti già esistenti nel nostro codice penale.
Il risultato appare essere l’espressione della volontà di configurare un’ampia zona di impunità per coloro che, gestendo l’impianto siderurgico, dovrebbero avere come primo orizzonte la salvaguardia della salute dei cittadini e la sicurezza dei lavoratori.
Diceva, infatti, il G.I.P.: “Tali norme hanno, infatti, consentito allo stabilimento siderurgico la prosecuzione dell’attività produttiva, finanche in costanza di sequestro penale (art. 3 comma 3 d.l. 207/2012) e nella consapevolezza che la stessa comportava oggettivamente pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute [….] Devono allora ritenersi clamorosamente assenti quei criteri di proporzionalità e ragionevolezza che, in precedenza, avevano consentito il sacrificio di preminenti valori costituzionali (la salute dell’ambiente) per contemperarli – senza essere “tiranni” rispetto ad altri – con altri beni e interessi costituzionalmente tutelati. Viene anzi da chiedersi se, attualmente, sia proprio l’interesse economico ad essere divenuto “tiranno” rispetto al diritto alla salute, che pure il legislatore Costituente aveva definito “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” . E che il legislatore abbia finito con il privilegiare, con le ultime norme contenute nei cosiddetti decreti “salva Ilva”, in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili quali la salute e la vita stessa, nonché il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso, lo ha sancito la stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 58/2018, allorquando ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legge n. 92/2015 e degli artt. 1 comma 2 e 21 octies della L. 132/2015 che consentivano all’impresa di poter continuare ad usare impianti in sequestro, anche se il provvedimento cautelare si riferiva ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori. Risulta, ancora una volta, conclamata la illegittimità costituzionale della norme per contrasto con gli att. 3, 24, 32, 35, 41, 112, 117 della Carta costituzionale“.
Rammentiamo che la CEDU, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, già nella prima sentenza di condanna del Governo Italiano del 24.01.2019, relativa all’ex Ilva di Taranto, ha affermato «che il persistente inquinamento causato dalle emissioni dell’Ilva ha messo in pericolo la salute dell’intera popolazione che vive nell’area a rischio» evidenziando l’omessa adozione di «tutte le misure necessarie per proteggere efficacemente il diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti» e che il 5 maggio del 2022 ha nuovamente condannato lo Stato italiano per lo stesso motivo del gennaio 2019.
Infine, ricordiamo che l’articolo 25 della Costituzione recita “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge” e che l’articolo 41, circa un anno fa, è stato così modificato “L’iniziativa economica privata …. non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Pertanto, proponiamo i seguenti emendamenti:
Emendamento 1
Si sopprimono gli articoli 5, 6, 7 e 8 di cui al Capo II “DISPOSIZIONI IN MATERIA PENALE RELATIVE AGLI STABILIMENTI DI INTERESSE STRATEGICO NAZIONALE”
Motivazioni
Si tratta di disposizioni a nostro parere non emendabili, pertanto si richiede che siano soppresse. Se confermate, costituirebbero una grave manomissione dell’autonomia della magistratura e andrebbero oltre ogni ragionevole bilanciamento tra l’interesse all’approvvigionamento di beni e servizi essenziali per il sistema economico nazionale, da un lato, e valori costituzionalmente garantiti come la salute, l’ambiente ed il lavoro, dall’altro, anche in virtù della mancanza di un rigido arco temporale all’interno del quale provare a ipotizzare il contemperamento tra le esigenze produttive e i diritti fondamentali da esse compressi. Nel caso dello stabilimento siderurgico di Taranto l’attività produttiva risulta autorizzata ex lege a fronte di impianti sottoposti a sequestro senza facoltà d’uso da oltre 10 anni.
Emendamento 2
Inserimento del seguente nuovo articolo:
“All’articolo 23 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006 n. 152, al comma 2, laddove recita “Per i progetti di cui al punto 1) dell’allegato II alla presente parte e per i progetti riguardanti” si aggiunge ” gli impianti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale nonché ”
Motivazione
La valutazione dell’impatto sanitario è già espressamente prevista nell’ordinamento legislativo italiano dall’articolo 12 del Decreto Legislativo 16 giugno 2017 n° 104 per le centrali termiche, i grandi impianti di combustione, gli impianti di raffinazione, gassificazione, liquefazione, ma non per gli impianti siderurgici né per gli impianti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale. Il Consiglio di Stato, Sezione IV, con sentenza n. 983 dell’11 febbraio 2019, ha ritenuto comunque necessaria tale valutazione quando le concrete evidenze dimostrino la sussistenza di un serio pericolo per la salute pubblica.
Emendamento 3
Inserimento del seguente nuovo articolo, quale disposizione transitoria:
“Per lo stabilimento siderurgico di Taranto si dispone l’effettuazione da parte del Ministero della Salute di una valutazione di impatto sanitario (VIS), in conformità alle linee guida VIS predisposte dall’ISS, Istituto Superiore di Sanità, entro il termine di 90 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della presente legge.”
Motivazione
E’ improcrastinabile fare tutto ciò che è necessario per evitare che la produzione di acciaio possa tradursi per la città di Taranto in nuove morti premature evitabili, da aggiungere alle tante in eccesso già rilevate fino ad oggi. Per questo è necessario e urgente stabilire subito con chiarezza se e quanto è possibile produrre con l’attuale assetto produttivo senza rischi inaccettabili per la salute.
di Legambiente
L’articolo Decreto Salva Ilva, Legambiente al Senato: sopprimere norme incostituzionali sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.
ARTICOLO TERMINATO!
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