I dati, aggiornati alla fine del 2022, mostrano che «il cinque per cento delle famiglie italiane più ricche possiede circa il 46 per cento della ricchezza netta totale», mentre al 50 per cento più povero resta «meno dell’otto per cento».
In generale la metà della ricchezza degli italiani è rappresentata dalle abitazioni, ma il dato varia molto in base alla fascia di popolazione considerata. Le case raggiungono i tre quarti della ricchezza per le famiglie sotto la mediana, mentre scendono a poco più di un terzo per quelle appartenenti alla classe più ricca; per le famiglie più povere, invece, non avendo case di proprietà i depositi sono l’unica componente rilevante di ricchezza finanziaria.
Nel corso degli ultimi anni la disuguaglianza si è fatta più feroce: se i principali indici di disuguaglianza sono rimasti sostanzialmente stabili tra il 2017 e il 2022, tra il 2010 e il 2016 l’indice di Gini è aumentato da 0,67 a 0,713, e la quota di ricchezza netta posseduta dal cinque per cento più ricco delle famiglie è passata dal 40 al 48%, per poi assestarsi al 46% rilevato alla fine del 2022.
In altre parole, alla fine del 2022 le famiglie italiane sotto la mediana detenevano una ricchezza media di circa 60.000 euro, mentre per il 10% più ricco il dato sale a oltre 2 milioni di euro.
In Europa c’è chi sta peggio – la concentrazione della ricchezza è inferiore a quella media dell’area dell’euro in Italia e in Francia, è maggiore in Germania –, ma è un tratto che non consola, soprattutto perché la disuguaglianza si caratterizza sempre più come una precisa scelta politica.
Come mostra un nuovo studio, appena pubblicato dai ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università Milano-Bicocca sul prestigioso Journal of the european economic association, documenta che il sistema fiscale italiano è regressivo, in netto contrasto con quanto stabilito dell’art. 53 della Costituzione.
Lo studio mostra in particolare che la concentrazione dei redditi è in aumento a partire dalla crisi finanziaria del 2008, con giovani e donne a emergere come fasce sociali più svantaggiate da questa tendenza; in questo contesto di forte sofferenza, il sistema fiscale è regressivo per 5% più ricco degli italiani (in termini di reddito), che dunque paga aliquote inferiori rispetto al 95% della popolazione, come già anticipato su queste colonne.
«Se consideriamo il patrimonio netto invece del reddito – precisa Elisa Palagi, co-autrice dello studio – l’aliquota media è regressiva su tutta la distribuzione. Servirebbe dunque un dibattito serio su come riformare il sistema fiscale italiano per aumentare il grado di progressività, in linea con la Costituzione».
Nel frattempo, il problema della disuguaglianza continua a incidere pesantemente sulla tenuta sociale del Paese, oltre che sull’efficacia della lotta alla crisi climatica in corso.
La responsabilità per le emissioni di gas serra pesa infatti nettamente sulle spalle dei più ricchi, ed è dunque necessario intervenire sulla tassazione per far sì che siano loro a pagare la maggior parte dei costi della transizione ecologica, senza contare che ridistribuire le ampie risorse economiche presenti in Italia permetterebbe di agire al contempo sulla cancellazione dei sussidi ambientalmente dannosi.
Le soluzioni per farlo ci sono, il problema è semmai quello della volontà politica. Un recente studio, pubblicato sempre dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, mostra infatti che aumentare blandamente la progressività delle tasse su multinazionali e l’1% più ricco degli europei permetterebbe di finanziare per intero la transizione ecologica; al contempo, se l’Iniziativa dei cittadini europei (Ice) Tax the rich andasse in porto, concentrandosi sulla tassazione dello 0,1% più ricco lo Stato italiano potrebbe guadagnare dai 14,5 ai 25,5 miliardi di euro l’anno, da destinare a politiche di sostenibilità ambientale e sociale.
L’articolo Disuguaglianza, il 5% più benestante degli italiani possiede il 46% della ricchezza sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.
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