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Economia circolare, in Italia calano posti di lavoro e utilizzo di materiali riciclati

Sebbene mantenga un buon posizionamento rispetto alla media europea, nell’ultimo anno l’economia circolare italiana ha innestato la retromarcia, come mostrano i dati messi in fila dal Circular economy network (Cen) nel suo V rapporto annuale, presentato oggi a Roma.

«Occorre accelerare, anche per combattere l’inflazione – spiega Edo Ronchi, presidente del Cen e già ministro dell’Ambiente – Se il costo delle materie prime e delle risorse aumenta, la circolarità è una risposta concreta alla crisi. Per questo è fondamentale dotarci di tutti gli strumenti utili per sviluppare pienamente l’economia circolare».

Invece in Italia stanno diminuendo sia gli occupati nel settore, sia l’effettivo impiego di materiali riciclati nell’economia nazionale.

Prendendo in esame un bacino di occupati piuttosto eterogeneo (lavoratori impiegati nel riciclo, nella riparazione e nel riutilizzo, ma anche nel noleggio e nel leasing), il Cen mostra che nel 2021 l’economia circolare nazionale conta 613mila persone ovvero il 2,4% degli occupati; un dato secondo in Ue solo a quello della Polonia (2,7%) ma in calo dello 0,6% (-3.800 unità).

La gestione rifiuti nel suo complesso appare invece piuttosto virtuosa, a parte il non trascurabile fatto che vede la produzione di rifiuti in aumento (+10%) dal 2010 al 2020 mentre in Ue è calata (-3%).

Escludendo dal computo i rifiuti inerti – che rappresentano però la frazione di rifiuti più ampia generata in Italia, dove insistono peraltro forti dubbi sulle quantità effettivamente riciclate –, il Cen afferma che per l’Europa la percentuale di riciclo nel 2020 «è stata del 53%», tra urbani e speciali, mentre l’Italia è arrivata al «72%» mantenendo il primato.

Ad una prima occhiata tutto bene dunque, ma è osservando i dati a grana più fine – attraverso le lenti dei rapporti Ispra sui rifiuti urbani e speciali – che è possibile intravedere le difficoltà che ancora permangono nella gestione rifiuti italiana: dalla scarsità di impianti alla loro disomogenea presenza lungo lo Stivale, fino all’export in crescita per gli scarti dell’economia circolare.

Soprattutto, le percentuali di avvio a riciclo stentano ancora a tradursi in un’economia effettivamente circolare, dove i rifiuti diventano davvero materia prima seconda rientrando nei cicli produttivi.

L’economia italiana resta infatti largamente dipendente dal consumo di materie prime vergini, in larga parte importate: il consumo interno di materiali nel 2021 conta 526 mln di ton (+14,7%, la crescita maggiore tra i principali Paesi Ue), di cui 166,1 arrivate dall’estero.

Anche in questo caso, aumentando il livello di dettaglio dei dati risaltano meglio le difficoltà. «L’Italia importa oltre il 99% delle materie prime critiche, mostrando una dipendenza dall’estero ancora più drammatica di quella europea», spiega dall’Enea Roberto Morabito, ricordando che dalle materie prime critiche passa non solo la transizione ecologica ma anche il 32% dell’attuale Pil nazionale: «Per un Paese come l’Italia, decisamente più povero di materie prime rispetto ai principali competitor, è ineludibile puntare sulla circolarità, dall’eco-design dei prodotti al recupero e riciclo».

Nel merito, dal Cen sottolineano le difficoltà nel disaccoppiare sia «il consumo di materiali rispetto al Pil», sia «la crescita economica dall’importazione di materiali». La produttività delle risorse resta da primato (3,19 €/kg), ma per l’Italia rappresenta il dato da peggiore da un decennio mentre le altre economie avanzano (la Francia è ormai a 3,15 €/kg). Guardando al tasso di utilizzo di materia prima proveniente dal riciclo (Cmu), per il nostro Paese si delinea addirittura un tracollo, riportando la performance ai livelli del 2017.

Nell’Ue nel 2021, ultimo anno disponibile, il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo è stato pari all’11,7%. Rispetto al 2020 il valore è sceso di 0,1 – spiegano dal Cen – L’Italia ha registrato un importante calo, attestandosi al 18,4% con la perdita di ben 2,2 punti percentuali rispetto all’anno precedente» (dati frutto di ricalcolo, con lo stesso Cen che ne riportava altri nel rapporto di un anno fa).

Come risultato, l’Italia si presenta adesso in quarta posizione nel confronto con tutti i 27 Paesi Ue, dietro ai Paesi Bassi (33,8%) e al Belgio (20,5%), oltre che alla Francia (19,8%).

Che fare per tornare a migliorare? «Come Circular economy network – incalza Ronchi – chiediamo di rispettare il cronoprogramma di attuazione della Strategia nazionale per l’economia circolare, recepire tempestivamente le misure europee, rafforzare il sostegno alle imprese, prevedere misure di fiscalità ecologica nella legge delega. È necessario inoltre sviluppare l’economia circolare delle materie prime critiche, garantire la realizzazione degli impianti previsti dal Pnrr, accelerare i tempi di realizzazione degli impianti di riciclo e dei ‘progetti faro’ già finanziati, per colmare il gap tra centro-sud e nord e garantire un’adeguata dotazione impiantistica. Sui rifiuti è essenziale dare piena attuazione al Programma nazionale di gestione dei rifiuti, aggiornare entro fine anno i Piani regionali per raggiungere gli obiettivi di riciclo e riduzione dello smaltimento in discarica previsti dalle direttive Ue, accelerare e semplificare le normative sull’End of waste, sviluppare la simbiosi industriale, nonché adottare il programma nazionale di prevenzione dei rifiuti».

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