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Economia circolare in Toscana, il punto di Legambiente all’alba del Piano regionale

Dopo due anni di attesa e preparazione, l’VIII Forum sull’economia circolare di Legambiente Toscana si è svolto oggi a Prato – una città dove da secoli si fa la lana senza pecore ma col riciclo, dando nuova vita agli stracci – alla soglia di un cambiamento molto atteso sul territorio.

Il Piano regionale dell’economia circolare è infatti vicino all’approvazione definitiva, dopo essere stato adottato dal Consiglio a settembre.

«Si è chiusa la fase delle osservazioni e presto riusciremo a dare risposta a ognuna – informa l’assessora all’Ambiente Monia Monni, aprendo il Forum – Il Piano dunque cambierà ancora prima della sua approvazione, ci auspichiamo a febbraio, ma è già in movimento. Grazie all’avviso pubblico lanciato per aprire alla partecipazione dei territori locali, 8 impianti sono già autorizzati e per altri 10 le procedure sono in corso. La logica è quella di colmare il divario tra raccolte differenziate sempre più performanti e la carenza d’impianti di gestione, per massimizzare il recupero di materia e creare nuovi posti di lavoro. Perché non esiste transizione ecologica che non sia anche giusta. Dobbiamo avere uno sguardo ampio, abbracciando i temi sociali insieme a quelli ambientali».

Non a caso, a valle dell’approvazione del Piano potranno rendersi disponibili 50 mln di euro di fondi europei che saranno usati per incrociare la sostenibilità ambientale con quella sociale: si pensi all’ex inceneritore di San Donnino, dove nascerà una piattaforma per il recupero Raee che si aggancerà a cooperative del terzo settore legate al re-inserimento sociale dei detenuti, oppure alle iniziative in progetto col Banco alimentare contro gli sprechi di cibo.

«C’è ancora chi pensa che la transizione ecologica sia un bagno di sangue, ma in realtà è un’opportunità di sviluppo enorme – argomenta Monni – proprio per i più fragili: solo se tutti potranno sentirsi parte del cambiamento, e non soltanto quanti possono permettersi di comprare una Tesla, riusciremo a compiere questo percorso e a rendere i territori più resilienti di fronte alla crisi climatica».

Una crisi che con solo con l’alluvione dello scorso 2 novembre ha causato in Toscana 8 morti e danni per 2 miliardi di euro. Sappiamo che l’origine del problema sta nelle emissioni antropiche di gas serra, che per il 70% sono legate all’estrazione e all’uso delle materie prime; un dato che riporta immediatamente all’importanza di sviluppare l’economia circolare, attraverso la realizzazione dei necessari impianti industriali.

«Da parte della Regione c’è un impegno importante sul fronte della programmazione – osserva Giuseppe Meduri, direttore comunicazione di Alia Multiutility Toscana – ma lo stesso impegno deve esserci nel coinvolgimento dei cittadini per spiegare l’importanza degli impianti: la sindrome Nimby ha fatto già fin troppi danni in Italia».

Come testimoniano le analisi di Legambiente c’è infatti un deficit di fiducia da sanare, perché nonostante gli italiani dichiarino una sempre maggiore sensibilità verso l’economia circolare, oltre due terzi non vogliono impianti di riciclo sul proprio territorio. Figurarsi impianti di recupero energetico o smaltimento.

In questo frangente storico gli impianti che più servono sono quelli per ricavare biometano e compost dai rifiuti organici – come il biodigestore anaerobico che Alia inaugurerà all’inizio del 2024, in un territorio di pregio come quello di Montespertoli –, ma anche quelli per gestire la frazione secca dei rifiuti (urbani e speciali) non recuperabile meccanicamente: il che significa nuovi termovalorizzatori – che sono però stati esclusi dalla pianificazione regionale – o preferibilmente impianti di riciclo chimico, dotati di profili di sostenibilità migliori.

Si tratta impianti necessari per valorizzare i cosiddetti “rifiuti da rifiuti”, che esitano dai processi di economia circolare, una frazione sempre più rilevante del totale.

Si pensi al caso della Revet, portato all’attenzione del Forum legambientino dall’ad Alessia Scappini: un’azienda che rappresenta l’hub del riciclo più importante dell’Italia centro meridionale, dove si ricicla persino la componente poliolefinica del plasmix, ovvero di quegli imballaggi misti e flessibili, spesso compostiti, che rappresentano ormai il 70% delle plastiche presenti nella raccolta differenziata. Per la parte di plasmix che non è possibile riciclare restano però solo le discariche o la termovalorizzazione, senza riciclo chimico.

Oppure si guardi alle cartiere presenti in Toscana, dei veri e propri impianti di riciclo in quanto – come ricordato al Forum da Massimo Medugno, dg di Assocarta – il 62% della materia prima (l’85% nel caso degli imballaggi) è composto da carta da riciclare. A livello nazionale si parla di 5,5 mln di ton l’anno, di cui 1,5 in Toscana; dalle operazioni di riciclo esitano però 400mila ton l’anno di nuovi scarti (97.800 ton in Toscana), che finiscono paradossalmente per alimentare il “turismo dei rifiuti” andando a smaltimento all’estero, mentre potrebbero essere recuperati per dare energia alle cartiere stesse e chiudere così il cerchio sul territorio.

«Dobbiamo colmare il deficit impiantistico che ancora c’è in Toscana – conclude nel merito Daniele Fortini, presidente di una società pubblica (Retiambiente) che è già riuscita a portare la raccolta differenziata sulla fascia costiera della regione oltre il 70% – La vocazione deve essere al recupero di materia, ma sapendo che restano tonnellate di materiali che non sono riciclabili meccanicamente. Credo che il Piano regionale dell’economia circolare abbia individuato le risposte migliori al problema, ma ora i territori e tutti noi siamo chiamati a finalizzare questo sforzo, sostenendo la realizzazione degli impianti necessari».

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