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Gli esseri umani sono centinaia di volte più pericolosi per gli altri animali degli squali bianchi, dei leoni e delle tigri

Mentre in Italia sta facendo ancora discutere l’avvistamento (rarissimo) di un “pericoloso” squalo al lago di Livorno, il nuovo studio “Humanity’s diverse predatory niche and its ecological consequences”, pubblicato su Communications Biology da un team internazionale di ricercatori guidato dal canadese  Chris  Darimont  dell’University of Victoriae della Raincoast Conservation Foundation e dal britannico  Rob Cooke del Centre for Ecology & Hydrology (UKCEH), dimostra che «Oltre un terzo di tutte le specie di vertebrati sulla Terra sono utilizzate dalle persone e questo sta causando impatti sproporzionati sugli ecosistemi e sui servizi benefici che la natura fornisce agli esseri umani».

Lo studio  ha analizzato i dati per i pesci, i mammiferi, gli uccelli, i rettili e gli anfibi più conosciuti e ha scoperto che «Gli esseri umani hanno fino a 300 volte più specie prede rispetto a predatori comparabili nelle stesse aree geografiche e, stimando che quasi il 40% delle specie sfruttate è ora a rischio di estinzione, stanno avendo un ampio impatto sulla biodiversità».

Insomma, il nostro impatto è fino a 300 volte maggiore di quello dei principali predatori come il grande squalo bianco, il leone o la tigre. L’umanità ora ha un’influenza sugli altri animali del pianeta maggiore che in qualsiasi momento della storia,

E all’UKCEH evidenziano che «A differenza di altri predatori che cacciano le prede per il cibo, gli umani hanno una vasta gamma di altri utilizzi per gli animali, come animali domestici, cibo, vestiti, per la ricerca o la caccia ai trofei». Gli autori dello studio sono rimasti sorpresi nello scoprire che «La cattura di animali terrestri per il commercio di animali da compagnia superava di gran lunga il numero degli utilizzi alimentari di quasi due a uno».

Per Cooke, «La selezione innaturale di animali da parte dei predatori umani potrebbe portare a una serie di ripercussioni sugli ecosistemi. Dalla potenziale perdita di grandi dispersori di semi come il bucero dall’elmo, a megaerbivori come il rinoceronte nero, a predatori migratori come i grandi squali».

Il team di ricercatori sottolinea che «C’è un urgente bisogno di politiche e azioni di conservazione per proteggere i vertebrati» e ha identificato le specie che sono sovrasfruttate e svolgono anche ruoli unici negli ecosistemi. Gli scienziati affermano che «Potremmo imparare molto da esempi di relazioni a lungo termine tra gli esseri umani e le loro prede, come la pesca dell’aringa del Pacifico, che è stata sostenibile per migliaia di anni prima del sovrasfruttamento industriale».

Lo studio ha analizzato i dati di 45.000 vertebrati e ha scoperto che «Gli esseri umani utilizzano 15.000 di queste specie, di cui circa 6.000 sono a rischio di estinzion»e. Gli esseri umani usano molte volte più specie di altri predatori comparabili. Ad esempio, un giaguaro ha 9 specie di prede rispetto alle 2.700 specie utilizzate dagli esseri umani nella stessa area geografica, mentre un barbagianni ha 462 specie di prede rispetto alle 11.400 specie utilizzate dagli esseri umani nella stessa area geografica.

Darimont  conferma che «Gli esseri umani sono emersi come il predatore più straordinario del pianeta, facendo cose che altri predatori non fanno, uccidendo o catturando per ragioni diverse dal nutrirsi, oltre a mettere in pericolo contemporaneamente migliaia di specie di prede».

Un altro autore dello studio, il canadese Boris Worm della Dalhousie University, ricorda che «Nel corso dei millenni, gli esseri umani hanno gradualmente occupato una nicchia ecologica di dimensioni enormi e la nostra capacità di gestire i nostri impatti non ha tenuto il passo con tale crescita».

Il nuovo studio fornisce anche nuove informazioni sui rischi dello sfruttamento di specie che tendono ad avere caratteristiche diverse, come grandi dimensioni corporee e una dieta a base vegetale, rispetto ad altri vertebrati.  I ricercatori hanno scoperto che «Gli esseri umani utilizzano un insieme di specie diversificato ed ecologicamente distinto, e la perdita di questi animali e dei ruoli che svolgono potrebbe causare cambiamenti significativi agli ecosistemi».

Lo studio conclude esprimendo speranza nei nuovi impegni internazionali per proteggere il 30% del pianeta entro il 2030: «Possono aiutare a fare più spazio alla natura. Inoltre, come gestire o ridurre l’impatto dell’uomo sulle specie è stato oggetto di recenti negoziati nell’ambito della Convention on biological diversity».

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