È così che, ad esempio, dalla necessaria depurazione di acque reflue esitano altri rifiuti (i fanghi di depurazione) che necessitano di altri impianti industriali per essere valorizzati o smaltiti in sicurezza, a seconda dei casi.
Non a caso in Italia nell’ultimo decennio sono raddoppiati i rifiuti da depurazione e gestione degli altri rifiuti, che sempre più spesso esportiamo (da una regione all’altra, o addirittura fuori confine) per carenza d’impianti di prossimità.
Pur a fronte di un sistema di depurazione ancora ampiamente insufficiente a livello nazionale, su cui gravano quattro procedure europee d’infrazione e 60 mln di euro di multe all’anno, in Italia vengono ad oggi prodotte 3,24 mln ton l’anno di fanghi di depurazione.
Si tratta di rifiuti speciali che per il 54% viene avviato a recupero e per il restante 46% a smaltimento in discarica, con situazioni piuttosto diversificate tra le macroaree del Paese.
La seconda edizione dello studio Fabbisogni impiantistici per una corretta gestione dei fanghi di depurazione, presentata a Ecomondo da Utilitalia – la Federazione nazionale delle utility idriche, ambientali ed energetiche – documenta infatti che nel 2021 «il Centro e il Sud hanno esportato complessivamente circa 480.000 tonnellate di fanghi verso altre regioni, soprattutto del Nord» del Paese.
Un quadro che rischia di essere aggravato nei prossimi anni da due fattori. Da un lato, la necessità di migliorare la depurazione in Italia farà crescere i quantitativi dei conseguenti rifiuti da gestire: con la risoluzione delle procedure di infrazione si stima che si produrranno circa 800mila tonnellate di fanghi in più, arrivando a circa 4 milioni di tonnellate annue.
Dall’altro lato, una mancata o una forte riduzione dell’utilizzo agricolo, sottoposto frequentemente a limitazioni e praticato comunque in un quadro di incertezza normativa, causa una norma datata che andrebbe urgentemente riformata, aggraverebbe ulteriormente la situazione di deficit gestionale del centro-sud, mettendo anche il nord in forte difficoltà.
Questo perché a oggi la quasi totalità delle 1,3 milioni di tonnellate di fanghi avviati a recupero viene trattata per un successivo utilizzo in agricoltura, sia in forma diretta sia attraverso la produzione di ammendanti compostati misti e di gessi di defecazione.
Nel caso venisse a mancare l’utilizzo agricolo, occorrerebbe trovare immediata collocazione per circa 1,32 milioni di tonnellate di fanghi, alle quali andrebbero a sommarsi ulteriori 800.000 tonnellate derivanti dalla risoluzione delle procedure di infrazione.
«Questo studio – commenta Alessandro Russo, vicepresidente di Utilitalia – dimostra che nei prossimi anni occorreranno impianti sia per il recupero di materia e successivo utilizzo in agricoltura, sia per il recupero energetico con produzione, tra gli altri, di biometano. In Italia la normativa risale al 1992 e già da tempo ne sosteniamo la necessità di un aggiornamento».
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