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La Commissione europea ha presentato il piano industriale per sostenere il Green deal

La Commissione europea ha presentato oggi la sua proposta di piano industriale a sostegno del Green deal, ovvero la strategia per trasformare l’Europa nel primo continente a emissioni nette zero entro il 2050.

La comunicazione arrivata da Bruxelles si basa su quattro pilastri: un contesto normativo prevedibile, coerente e semplificato, che supporti il ​​rapido dispiegamento di capacità produttive net-zero; accesso più rapido ai finanziamenti pubblici, stimolando gli investimenti ed evitando la frammentazione del mercato unico; competenze verdi, garantendo che la forza lavoro europea sia qualificata nelle tecnologie richieste dalla transizione ecologica; un’apertura commerciale che garantisca catene di approvvigionamento resilienti coi partner dell’Ue.

Al contempo, rappresenta un esercizio di pragmatismo in un periodo storico in cui gli Stati occidentali stanno tornando protagonisti – sospinti da crisi economiche, climatiche e pandemiche – sulla scena economica: per la Cina un robusto sostegno alle industrie nazionali non è certo una novità, ma dopo che anche gli Usa di Biden hanno approvato l’Inflation reduction act destinando 370 mld di dollari alla transizione ecologica, pure l’Ue si è vista costretta a muoversi per non continuare a subire la concorrenza.

«Abbiamo un’opportunità unica di indicare la strada con velocità, ambizione e determinazione per garantire la leadership industriale dell’Ue nel settore in rapida crescita della tecnologie net-zero – spiega la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen – Per le nostre aziende e i nostri cittadini significa trasformare le competenze in posti di lavoro di qualità e l’innovazione in produzione di massa, grazie a un framework più semplice e veloce. Un migliore accesso ai finanziamenti consentirà alle nostre principali industrie di tecnologia pulita di crescere rapidamente».

In concreto, con la comunicazione di oggi la Commissione informa che proporrà un Net-zero industry act per identificare gli obiettivi necessari a delineare un comparto industriale ad emissioni nette zero, fornendo al contempo un quadro normativo adeguato alla sua rapida implementazione (ad esempio, con procedimenti autorizzativi più semplificati e rapidi).

Non c’è però industria senza materie prime: per questo è in arrivo anche un apposito Critical raw materials act, pensato per garantire un accesso sufficiente a quei materiali, come le terre rare, che sono vitali per la produzione di tecnologie verdi. A tal fine verrà promossa anche la nascita di un Critical raw materials club, per riunire ad uno stesso tavolo i Paesi consumatori e quelli ricchi di tali materie prime, per garantire la sicurezza globale dell’approvvigionamento.

Al contempo, dato che la transizione ecologica resterà inattuabile se i vantaggi non saranno tangibili dalla popolazione, la Commissione Ue prevede una riforma del mercato elettrico per far sì che i consumatori possano beneficiare dei prezzi più bassi garantiti dalle fonti rinnovabili rispetto a quelle fossili.

Il mercato, da solo, ha però già mostrato di non essere in grado di traguardare con successo la transizione ecologica. Per questo è necessario rivedere la possibilità di contribuirvi in modo intensivo con fondi pubblici. A tal fine la Commissione si consulterà con gli Stati membri per arrivare a una modifica temporanea alle regole che vincolano gli aiuti di Stato: un difficile gioco d’equilibrismo che punta a garantire equità tra gli Stati all’interno del mercato unico, facilitando al contempo la concessione di aiuti pubblici a quei Paesi che hanno più disponibilità finanziarie per farlo (come la Germania).

A questo scopo sarebbe assai più utile un Fondo sovrano europeo a sostegno della transizione ecologica, in grado di dare «una risposta strutturale alle esigenze di finanziamento», come afferma la Commissione, che punta a presentare una proposta nel merito entro quest’estate.

Nel frattempo, è indispensabile fare tesoro degli strumenti di finanziamento pubblico già esistenti: la Commissione ha adottato nuovi orientamenti sui Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr), aprendo a modifiche dei Pnrr esistenti per rafforzare i capitoli sulla transizione energetica, così come delineata dall’iniziativa RePowerEu.

Tutto questo però resterà un inutile esercizio di stile, se il miglioramento degli asset industriali non sarà accompagnato da una crescita delle competenze lavorative necessarie alla green economy: la Commissione Ue stima che il 35-40% di tutti i posti di lavoro potrebbe essere impattato dalla transizione ecologica, il che significa promuovere lo sviluppo di competenze adeguate tra i lavoratori affinché possano trovare occupazioni ben retribuite all’interno del nascente assetto economico: in quest’ambito le proposte spaziano dalla creazione di accademie industriali net-zero all’approccio skills-first che guardi alle competenze effettive dei lavoratori, fino al facilitare l’immigrazione da Paesi extra-Ue di professionalità utili alla transizione ecologica.

Un aspetto, quello delle competenze, che riguarda da vicino il nostro Paese, dove recenti ricerche stimano ad oggi la presenza di 3,1 milioni di posti di lavoro “verdi”. Nei prossimi anni ne nasceranno altri milioni, ma occorrono competenze adeguate a svolgere questi lavori; una sfida ardua dato che più di sette italiani su dieci – contro una media Ocse del 49% – sono analfabeti funzionali o hanno capacità cognitive e di elaborazione minime.

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