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La crosta della caldera dei Campi Flegrei è in «progressivo indebolimento»

Negli ultimi giorni, il sottosuolo dei Campi Flegrei – dove la sismicità è un fenomeno costante – è scosso da molteplici tremori: ieri in particolare si è registrata una scossa di terremoto di magnitudo 3,6, seguita da uno sciame sismico che continua anche oggi.

Un utile contributo per capire cosa sta succedendo nell’area arriva dal nuovo studio Potential for rupture before eruption at Campi Flegrei caldera in southern Italy, appena pubblicato su ‘Communications Earth and Environment’ di Nature da ricercatori dell’University College London (Ucl) e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).

Dalla ricerca risulta che la crosta della caldera flegrea sta attraversando un progressivo passaggio da una fase “elastica” a una “inelastica”.

«In quest’ultima fase – spiega Christopher Kilburn dell’Ucl – ogni aumento di sforzo associato al continuo sollevamento viene immediatamente liberato sotto forma di terremoti. Sulla base di nostre precedenti ricerche, nel 2016 avevamo ipotizzato l’incremento di sismicità, effettivamente verificatosi a partire dal 2019. Questo risultato ci ha incoraggiato a continuare sulla strada intrapresa e dimostra quanto sia importante studiare i Campi Flegrei attraverso questo nuovo approccio che ci da informazioni sul livello di fratturazione della crosta».

L’attività della caldera è causata da movimenti di fluidi che si troverebbero a circa 3 km di profondità e che potrebbero essere costituiti sia da magma che da gas di natura vulcanica. Gli autori ipotizzano quindi diverse evoluzioni della fase attuale.

«Nello scenario più critico – osserva il ricercatore Ingv Nicola Alessandro Pino – la persistenza del regime inelastico potrebbe portare alla rapida fratturazione degli strati crostali più superficiali, con precursori che potrebbero essere meno intensi di quanto generalmente attesi in caso di risalita di magma. Tuttavia, la riattivazione progressiva e diffusa di fratture potrebbe causare la depressurizzazione del sistema idrotermale, con arresto del sollevamento del suolo e, quindi, la ripresa della lenta subsidenza».

I ricercatori sottolineano comunque che lo studio appena pubblicato ha valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile, dato che «al momento i risultati della ricerca non hanno alcuna implicazione diretta su misure che riguardano la sicurezza della popolazione».

Gli autori sottolineano al contempo come il loro studio indichi la necessità di analisi sempre più quantitative delle relazioni tra i segnali registrati in superficie dalle reti di monitoraggio e i processi che li determinano, indispensabili per fornire valutazioni più attendibili per la pericolosità vulcanica.

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