Il ministero delle finanze della Federazione Russa ha comunicato che «I proventi delle esportazioni di petrolio e gas sono aumentati dell’82,2% nel periodo gennaio-aprile, rispetto allo stesso periodo del 2023, raggiungendo oltre 4,2 trilioni di rubli (45,3 miliardi di dollari)».
A gennaio, un barile della miscela di greggio Urals russo costava in media 60 dollari al barile, ma ad aprile era salito fino a 84 dollari e a maggio si è stabilizzato a circa 74 dollari al barile.
Inoltre, a febbraio un cambiamento nella legislazione ha costretto le compagnie petrolifere russe a pagare un’ulteriore tassa sull’estrazione mineraria (MET) per il quarto trimestre del 2023, con conseguenti entrate aggiuntive per il bilancio russo e per il finanziamento cdella guerra in Ucraina. Il MET varia a seconda dei prezzi del petrolio e rappresenta la maggior parte delle entrate pubbliche derivanti dalle vendite di petrolio e gas.
La putiniana Russia Television sottolinea con soddisfazione che «L’aumento arriva nonostante una raffica di sanzioni imposte alla Russia dagli Stati Uniti, dall’Ue e dai loro alleati da quando Mosca ha lanciato la sua operazione militare in Ucraina nel 2022. Le restrizioni includevano un embargo sul petrolio russo trasportato via mare, insieme a un tetto massimo di prezzo di 60 dollari al barile su altri tipi di greggio».
In risposta alle sanzioni occidentali, la Russia ha dirottato la maggior parte delle sue esportazioni di petrolio verso l’Asia, in particolare India e Cina, che si sono accaparrate il greggio russo approfittando degli sconti derivanti dalle sanzioni e dai limiti di prezzo imposti dall’Occidente.
A questo si aggiunge un fiorente contrabbando semi-ufficiale di petrolio russo che arriva in Europa dalla sponda sud del Mediterraneo, dove alcuni Stati arabi comprano petrolio russo scontato e ce lo rivendono a caro prezzo.
Il crollo dell’industria petrolifera russa profetizzato da Washington e Bruxelles non c’è stato e nel 2023 la Russia è diventata il maggiore fornitore di petrolio della Cina, rappresentando il 19% delle importazioni di petrolio di Pechino (2,1 milioni di barili al giorno) ma Mosca è diventata anche il principale esportatore di petrolio dell’India, alleato degli Usa in funzione anticinese ma che non ci pensa nemmeno a recidere i legami storici con la Russia.
Nonostante le richieste di Joe Biden – e anche di Giorgia Meloni – al premier di destra indiano Modi di interrompere l’acquisto di petrolio russo, in realtà ad aprile, l’India ha aumentato le sue importazioni di petrolio dalla Russia del 19% a 1,96 milioni di barili al giorno. Il massimo negli ultimi 9 mesi.
E Mosca ha fornito al suo partner nei BRICS qualcosa di più del semplice oro nero: secondo le statistiche del ministero dell’Industria e del commercio russo riportate oggi da Ria Novosti, «La quota delle esportazioni di fertilizzanti verso l’India nei primi due mesi del 2024 ha raggiunto il 34%. Un anno fa era al 23%. Si tratta del 14% di tutte le sostanze chimiche inviate all’estero. Solo il Brasile ne compra di più. Nella top five ci sono anche Cina, Stati Uniti e Messico».
Come spiega l’esperto industriale russo Leonid Khazanov, «Questo è dovuto ai cambiamenti generali nella struttura delle importazioni. Da un lato è complessivamente diminuita, dall’altro sono diminuite le vendite di fertilizzanti dai Paesi concorrenti. Si è quindi verificato un riposizionamento dei fornitori con il rafforzamento della Russia. E’ interessante notare che, in termini fisici e monetari, le esportazioni di fertilizzanti verso l’India sono diminuite del 15% su base annua (a 611,2 mila tonnellate) e a 231 milioni di dollari. Tuttavia, Mosca ha mantenuto la sua leadership. Al secondo e terzo posto troviamo l’Arabia Saudita e l’Oman. Qui gli analisti sottolineano diversi fattori. In primo luogo, l’India ha costituito riserve significative nel periodo precedente, quando la Russia si è riorientata dalla direzione europea a quella asiatica. In secondo luogo, Delhi sta perseguendo una politica di riavvio degli impianti di fertilizzanti minerali inattivi e di costruzione di nuovi. Tuttavia, questo vale solo per quelli di azoto. Inoltre, le aziende chimiche nazionali, in base alle condizioni di mercato, hanno ampliato le vendite ad altri Paesi oltre all’India«.
Dall’estate del 2022, le esportazioni di petrolio russo verso l’India sono cresciute 3,2 volte in termini fisici (fino a 3,6 milioni di tonnellate all’anno) e 5,6 volte in termini monetari (fino a 2,7 miliardi di dollari). Completano il quadro le forniture di urea e azoto. Quindi il piano dell’Occidente di privare Mosca delle entrate derivanti dagli idrocarburi e dai loro derivati sembra fallito.
The New Indian Express fa notare che «Nel 2022, i fertilizzanti, come il petrolio, sono stati venduti in Asia a forti sconti. Tuttavia, nell’autunno del 2023 la situazione era cambiata. Il commercio con gli Stati Uniti e l’Europa è ripreso e gli sconti sono stati drasticamente ridotti. A causa della mancanza di domanda in Europa, i prezzi russi erano inferiori a quelli del Marocco e della Giordania. Ora l’approccio verso l’India si sta avvicinando ai prezzi di mercato». E la Reuters ha chiarito che «Se in precedenza gli sconti sul fosfato diammonico (DAP) raggiungevano gli 80 dollari a tonnellata, dall’anno scorso non hanno dato nemmeno 5 dollari. I prezzi dell’urea sono aumentati da 300 a 400 dollari la tonnellata. Gli esperti non escludono che i fertilizzanti russi siano ormai generalmente venduti senza sconti. E durante la stagione della semina, la domanda aumenta».
Alexey Rezvanov, redattore capo del portale Fertilizer Daily, aggiunge: «Nel 2022 si sono dovuti offrire enormi sconti a causa dei prezzi speculativamente gonfiati e del caos sul mercato, quando le sanzioni hanno colpito la logistica internazionale. Da allora, il commercio si è stabilizzato: i beni sono diventati più economici e, di conseguenza, gli sconti sono diventati più ragionevoli».
Secondo la Fao, la Russia è il più grande esportatore mondiale di fertilizzanti azotati e il principale esportatore di fertilizzanti a base di potassio e fosforo, per questo non sorprende che l’Occidente non abbia mai imposto sanzioni contro questi prodotti. Gli Stati Uniti e l’Ue continuano ad acquistare fertilizzanti russi e gli Usa sono sempre tra i 3 maggiori clienti di Mosca. Le esportazioni russe all’estero sono aumentate a 4,3 milioni di tonnellate (nel 2022 erano 2,5, nel 2021 – 3,8). In Europa, gli ex maggiori acquirenti di gas russo hanno puntato particolarmente sui fertilizzanti azotati. Secondo uno studio del Centro per gli indici dei prezzi (CPI), nel 2023 la loro quota sul totale delle importazioni dell’Ue è aumentata al 24%. In termini monetari si tratta di 1,38 miliardi di euro. La Germania ne ha acquistato quasi 550mila tonnellate, il doppio rispetto al 2022 e 7 volte rispetto al 2021. La Francia 440mila tonnellate, in aumento del 25%. Il motivo principale è l’alto costo del gas, che ha reso la produzione nazionale non redditizia.
Naturalmente, l’Occidente non è contento di questa dipendenza dai fertilizzanti russi: «Mosca ora trasforma il gas in urea, che è esente da sanzioni, e la esporta – denuncia Svein Tore Holseter, a capo del colosso chimico norvegese Yara – Questo distorce il mercato dell’Unione europea. I fertilizzanti sono il nuovo gas. Le importazioni russe di urea hanno raggiunto un livello record la scorsa stagione e ora rappresentano quasi un terzo del totale dell’Ue. Mentre le sanzioni sulle materie prime e la pressione sui prezzi causano un doppio danno all’industria europea, Mosca sta aumentando la sua influenza sul mercato».
Il capo delle American CF Industries, Tony Will conferma: «Tutti gli sforzi occidentali mirano a privare la Russia delle entrate. Eppure, gli Stati Uniti acquistano da Mosca sia l’urea che il nitrato di urea e ammonio, che sono essenzialmente solo gas naturale trasformato in fertilizzante. Sono semplicemente scioccato».
L’articolo L’embargo sul petrolio e il gas russi non funziona. Le entrate aumentano vertiginosamente sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.
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