Il dato, analizzato dall’Osservatorio dei conti pubblici italiani, non toglie che alcune misure fiscali introdotte a partire dal 2015 hanno avuto effetti positivi sul contrasto all’evasione: si tratta in particolare dello split payment e della fatturazione elettronica. Dal lato opposto della barricata c’è la flat tax: non quella che la destra ora al Governo ha sostenuto in campagna elettorale, che con tutta probabilità peggiorerebbe ulteriormente il problema, ma quella già fruibile.
«Una misura che sembra aver favorito l’evasione – argomenta l’Osservatorio – è stata l’ampliamento del regime forfetario nel 2019 con l’introduzione di una flat tax con un’aliquota base al 15 per cento (5 per cento per i primi 5 anni di attività) e l’esenzione da Irap e Iva destinata alle partite Iva che fatturano fino a 65 mila euro annui. Sebbene tale riforma possa aver contribuito a far emergere dei redditi per la generosità dell’agevolazione rispetto al sistema di tassazione ordinario, può anche aver incentivato il fenomeno dei c.d. falsi minimi, ovvero coloro che per rientrare nel regime forfettario dichiarano fatturati inferiori a quelli reali quando questi eccedono la soglia dei 65 mila euro».
Il fenomeno dei falsi minimi è stato indagato in primis dallo stesso ministero dell’Economia, studiando la distribuzione dei ricavi e dei compensi dichiarati dai contribuenti italiani intorno alla soglia dei 65 mila euro annui.
«La ricerca – conclude nel merito l’Osservatorio – mostra chiaramente come ci sia una riduzione anomala del numero di contribuenti subito dopo la soglia dei 65 mila euro, riduzione che si riscontra solo dopo l’introduzione della flat tax nel 2019 e non negli anni precedenti. Come già accennato, questo risultato può dipendere da due spiegazioni alternative: la prima è un contenimento dell’attività produttiva per evitare di superare la soglia, la seconda è una sotto-dichiarazione dei ricavi».
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