La conferma arriva oggi direttamente dal Cane a sei zampe, che parla di «conversione della raffineria di Livorno in bioraffineria», anche se di fatto il progetto in corso di Valutazione d’impatto ambientale (Via) al ministero dell’Ambiente «andrà a integrare, e in parte a sostituire, l’attuale produzione tradizionale di combustibili analoghi di origine fossile». Una conversione parziale, dunque.
«In linea con la decisione strategica di convertire la raffineria di Livorno, che consentirà di assicurare un futuro produttivo e occupazionale al sito, Eni – spiega la multinazionale a controllo statale – ha interrotto le importazioni di greggio e ha conseguentemente avviato la fermata delle linee produttive lubrificanti e dell’impianto Topping. La distribuzione di carburanti sul territorio sarà garantita dall’importazione di prodotti finiti e semilavorati».
La bioraffineria prevede «la costruzione di tre nuovi impianti per la produzione di biocarburanti idrogenati: un’unità di pretrattamento delle cariche biogeniche, un impianto Ecofining da 500mila tonnellate/anno e un impianto per la produzione di idrogeno da gas metano».
Lo scopo è quello di produrre vari biocarburanti idrogenati, ovvero Hvo diesel, Hvo nafta e bio-Gpl, a partire da cariche di origine biologica residuali, dichiarate non in competizione con il settore alimentare (come sottoprodotti animali, oli alimentari esausti, residui vegetali).
«Le aree dove sono previsti i tre nuovi impianti per la bioraffinazione sono già cantierizzate per i lavori preparatori e l’avvio della costruzione è previsto – aggiungono dal Cane a sei zampe – dopo l’ottenimento dell’autorizzazione di legge, con completamento e avvio entro il 2026».
Il sito labronico che Eni gestisce ormai da 70 anni sembra dunque apprestarsi a cambiare volto, ma ancora non è chiaro quali siano le ricadute positive che il progetto è in grado di portare, sia per la comunità locale sia per lo sviluppo sostenibile più genericamente inteso.
Come evidenziato dal circolo Legambiente Livorno nelle osservazioni alla Via inviate al ministero, il progetto prevede investimenti ingenti (420 mln di euro) e 500 posti di lavoro in fase di cantiere, senza specificare quali saranno le ricadute occupazionali per l’esercizio della bioraffineria: al meglio, si prospetta dunque il mantenimento degli attuali posti di lavoro.
Il medesimo progetto documenta cambiamenti minimi sotto il profilo degli inquinanti atmosferici (CO e NH3 +6%, SO2 -12%, NOx e H2S -5%, polveri -6,5%); la produzione di rifiuti aumenterà di 12 volte, da 6.500 a 81.100 t/a; non appiano piani di bonifica per l’area Sin in cui la raffineria è insediata;
non viene indicato con precisione il calo atteso nelle emissioni di CO2 legate all’impiego dell’uso di biocarburanti, al posto dei combustibili fossili tradizionali; al contempo non si specifica da dove verranno importante le cariche biogeniche in ingresso alla bioraffineria, lasciando dubbi sulla capacità di tracciare la filiera in modo stringente.
Posta l’urgente necessità di abbandonare l’uso dei combustibili fossili, l’insediamento di una bioraffineria a Livorno – in attesa di verificare l’ottenimento della Via e le relative, eventuali prescrizioni – resta un investimento cui guardare con interesse, per capire come iniziare a trasformare l’attività delle raffinerie tradizionali. Ma nel caso livornese sono ancora molte le lacune cui porre rimedio per poter parlare di un approccio pienamente sostenibile.
Nel frattempo il sindaco di Livorno, Luca Salvetti, assicura che continuerà a seguire da vicino l’evolversi del progetto: «Rimane alto e continuo l’impegno sul tema delle bonifiche, che andranno di pari passo con la conversione in bioraffineria».
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