Infatti, nel 2021 dalle foreste boreali in fiamme nel Nord America e in Eurasia è stata rilasciata quasi mezza gigatonnellata di carbonio (o 1,76 miliardi di tonnellate di CO2), il 150% in più rispetto alle emissioni medie annuali di CO2 tra il 2000 e il 2020.
Il coautore senior dello studio, Steven Davis dell’università della California – Irvine (UCI) evidenzia che «Secondo le nostre misurazioni, gli incendi boreali nel 2021 hanno infranto i record precedenti. Questi incendi sono il frutto di due decenni di rapido riscaldamento e di estrema siccità nel Canada settentrionale e in Siberia e, sfortunatamente, anche questo nuovo record potrebbe non durare a lungo».
I ricercatori sono convinti che «Il peggioramento degli incendi fa parte di un feedback clima-fuoco in cui le emissioni di anidride carbonica riscaldano il pianeta, creando condizioni che portano a più incendi e più emissioni».
Un altro autore dello studio, Yang Chen del Department of Earth System Science dell’UCI, aggiunge: «Si prevede che l’escalation degli incendi nella regione boreale acceleri il rilascio del grande deposito di carbonio nello strato di suolo del permafrost, oltre a contribuire all’espansione verso nord degli arbusti. Questi fattori potrebbero potenzialmente portare a un ulteriore riscaldamento e creare un clima più favorevole per il verificarsi di incendi».
Davis fa notare che «Nel 2021, gli incendi boreali hanno rilasciato quasi il doppio di CO2 rispetto o all’aviazione globale, Se questo livello di emissioni da territori non gestiti diventasse la nuova normalità, stabilizzare il clima terrestre sarà ancora più difficile di quanto pensassimo».
Analizzare la quantità di anidride carbonica rilasciata durante gli incendi è difficile una serie di motivi: il terreno accidentato e avvolto dal fumo ostacola le osservazioni satellitari durante un evento di combustione e le misurazioni satellitari non hanno una risoluzione sufficientemente precisa per rivelare i dettagli delle emissioni di CO2. I ricercatori sottolineano che «I modelli utilizzati per simulare il carico di carburante, il consumo di carburante e l’efficienza antincendio funzionano bene in circostanze normali, ma non sono abbastanza robusti da rappresentare incendi estremi».
E Chen aggiunge che un altro problema lo abbiamo creato noi: «L’atmosfera terrestre contiene già grandi quantità di anidride carbonica derivante dalla combustione di combustibili fossili antropici e il gas serra esistente è difficile da distinguere da quello prodotto dagli incendi boschivi».
Il team internazionale guidato dal cinese Bo Zheng della Tsinghua University ha trovato un modo per aggirare questi ostacoli studiando il monossido di carbonio espulso nell’atmosfera durante gli incendi. Combinando le letture di CO di MOPITT –Measurements Of Pollution In The Troposphere satellite instrument – con i dataset esistenti sulle emissioni degli incendi e sulla velocità del vento, il team ha ricostruito i cambiamenti nelle emissioni globali di CO2 degli incendi dal 2000 al 2021. All’UCI spiegano ancora: «Il monossido di carbonio (CO) ha una durata di vita più breve nell’atmosfera rispetto alla CO2, quindi se gli scienziati rilevano un’abbondanza anomala di CO, questo fornisce la prova di incendi».
I ricercatori hanno confermato in modo indipendente il verificarsi di incendi estremi nel 2021 con dataset forniti dallo spettroradiometro per immagini a risoluzione moderata della NASA a bordo dei satelliti Terra e Aqua.
Chen spiega a sua volta: «L’approccio di inversione impiegato in questo studio è un metodo complementare all’approccio convenzionale dal basso verso l’alto, che si basa sulla stima dell’area bruciata, del carico di carburante e della completezza della combustione. La combinazione di questi approcci può portare a una comprensione più completa dei modelli di incendi boschivi e dei loro impatti».
I ricercatori affermano La nostra analisi dei dati ha rivelato collegamenti tra gli estesi incendi boreali e fattori climatici, in particolare l’aumento delle temperature medie annuali e le ondate di caldo di breve durata» e hanno scoperto che «Le latitudini settentrionali più elevate e le aree con frazioni di copertura arborea più grandi erano particolarmente vulnerabili».
David conclude: «Per i primi due decenni del XXI secolo, a livello globale le emissioni di carbonio degli incendi boschivi sono state relativamente stabili a circa 2 gigatonnellate all’anno, ma il 2021 è stato l’anno in cui le emissioni sono davvero decollate. Circa l’80% di queste emissioni di CO2 verrà recuperato attraverso la ricrescita della vegetazione, ma il 20% viene perso nell’atmosfera in modo quasi irreversibile, quindi gli esseri umani dovranno trovare un modo per rimuovere quel carbonio dall’aria o ridurre sostanzialmente la nostra stessa produzione di anidride carbonica atmosferica».
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