I lavori si sono chiusi senza alcun via libera alla nascente industria di settore, con oltre 20 governi schierati per uno stop. La maggior parte dei Paesi – tra cui Brasile, Costa Rica, Cile, Vanuatu, Germania e Svizzera – non ha ceduto alle pressioni dell’industria, sostenuta d’altro canto da nazioni come Norvegia, Nauru e Messico, per accelerare le regole per l’estrazione in acque profonde.
Le nazioni favorevoli al deep sea mining hanno reagito cercando di mettere a tacere la crescente resistenza all’estrazione in acque profonde: la Cina, in particolare, si è opposta alla proposta dei governi dell’America Latina, del Pacifico e dell’Europa di dare più spazio al dibattito.
«Grazie anche alla crescente mobilitazione dell’opinione pubblica, è chiaro che la maggior parte dei governi non è disposta a liberalizzare la distruzione degli oceani», dichiara Louisa Casson, responsabile della campagna Oceani di Greenpeace international.
In particolare, Greenpeace ritiene che serva una moratoria che ponga al centro la protezione degli oceani anziché l’estrazione di minerali, ma di fatto l’Isa non ha preso una decisione stringente in materia.
Le decisioni adottate dal Consiglio dell’Autorità internazionale si sono limitati ad impostare una roadmap dei lavori per arrivare a redigere un regolamento in materia entro il 2025, col prossimo appuntamento del percorso negoziale già in agenda per il prossimo settembre.
Si tratta infatti di trovare un equilibrio tra esigenze contrastanti. Le materie prime critiche rappresentano già un pilastro fondamentale per le economie nazionali (in Italia passa da qui il 38% del Pil) e il loro ruolo crescerà con la transizione ecologica, necessaria per frenare la crisi climatica in corso. Al contempo, gli ambientalisti come la comunità scientifica – come quella rappresentata dall’Easac, il Consiglio costituito dalle accademie nazionali delle scienze dei Paesi europei – ritengono che sia prematuro dare il via libera all’estrazione di minerali dai fondali marini, quando sappiamo ancora così poco di tali fragili ecosistemi, prediligendo altre opzioni: in primis riciclo, ma anche l’apertura di nuove miniere sulla terraferma.
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