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Nucleare, gli italiani favorevoli sarebbero il 74% anche se l’81% non sa di cosa si tratta

Il sottosegretario di Stato Alessandro Morelli ha aperto i lavori della IV edizione della Intelligence week (iWeek) in corso a Milano, un evento nato attorno alla domanda: Nucleare, si può fare?

Ne è certo Morelli, che punta il dito contro «un dibattito pubblico sempre troppo caratterizzato da una forte contrapposizione ideologica, mentre servirebbero una discussione senza propaganda e un piano di riforme di sistema che preparino il Paese al rientro nel nucleare».

La iWeek, che è stata realizzata proprio grazie al sostegno di realtà impegnate lungo la filiera nucleare – come Transmutex, Edison, Ansaldo nucleare, Ultra safe nuclear corporation, Sogin, Campoverde – e col patrocinio dell’Associazione italiana nucleare oltre che del ministero dell’Ambiente, si sviluppa non a caso dopo l’avvio da parte del ministero della Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile (Pnss).

Un evento che ha messo al centro «l’introduzione in Italia delle nuove tecnologie nucleari, a partire dagli Small modular reactors (Smr)», di cui peraltro si parla dagli anni ’80 del secolo scorso. Gli stessi che Edison – società controllata da Edf, a sua volta recentemente nazionalizzata dalla Francia dopo una fase di profonda difficoltà legata (anche) al comparto nucleare – ha appena proposto di sviluppare «tra il 2030 e il 2040, se si creeranno le condizioni per il ritorno del nucleare in Italia».

Per alimentare «una discussione senza propaganda», in questo contesto iWeek ha illustrato un sondaggio condotto da Swg intervistando un «campione rappresentativo» composto da 800 italiani, dal quale sembra emergere una curiosa sovrapposizione tra quanti si dichiarano favorevoli alle “nuove” tecnologie nucleari e quanti ammettono di non conoscerle.

Per quanto riguarda in particolare i Smr, solo il 19% dichiara di essere a conoscenza di questa tecnologia, il 36% ne ha sentito parlare ma non sa di cosa si tratta, mentre il 45% non ne ha neanche sentito parlare; per i reattori nucleari di quarta generazione i dati sono rispettivamente 33%, 46% e 21%, mentre per la fusione nucleare 25%, 43% e 32%.

Nonostante questa dichiarata ignoranza in materia – o forse proprio per questo –, il medesimo sondaggio rileva che il 20% sarebbe favorevole a prescindere a queste “nuove” tecnologie nucleari, il 26% contrario a prescindere e il 54% favorevole ma ad alcune condizioni. Ovvero se «le centrali saranno costruite ad una distanza significativa dalla propria abitazione» e se «saranno in grado di portare un reale risparmio in bolletta».

In un Paese ad alta densità abitativa come l’Italia, idrogeologicamente e sismicamente molto delicato, sembra assai difficile rispettare la prima condizione, mentre finora nel limitare lo sviluppo del nucleare a livello internazionale hanno inciso molto proprio gli esorbitanti costi di realizzazione.

«Non si tratta più di pensare alle grandi centrali, al modello di terza generazione come sono in costruzione in Francia e in Spagna ad esempio, ma a quelle di una nuova frontiera – dichiara oggi il ministro Pichetto, intervenendo su Radio 24 – Possiamo essere davvero i primi o in prima fila in quello che sarà il nucleare del futuro, che non sarà oggi e non sarà domani. Difficile che vedremo una centrale nucleare, vedremo tanti small reactor che sono delle piccole centrali da 300, 500, 1000 megawatt questo sì. Sfatiamo un mito poi: saranno i privati nel 2030-2035 a fare domanda per installare le centrali, non sarà lo Stato che lo farà, ma saranno le imprese che avranno l’interesse», anche se si stima che il 65% della potenza nucleare installata al mondo sia di proprietà statale.

Ma per tastare il polso dell’accettabilità sociale delle tecnologie nucleari in Italia, più che ai sondaggi è forse utile guardare allo stato dell’arte del Deposito unico nazionale per i rifiuti radioattivi: un’opera realmente utile al Paese, il cui iter è iniziato nel 2010 durante il Governo Berlusconi IV. La sua realizzazione è attesa per il 2025, ma di fatto ad oggi non è stata resa pubblicamente disponibile neanche la Carta nazionale delle aree idonee a ospitare il sito. Il Governo Meloni si è impegnato ad approvarla «verosimilmente entro il corrente anno», ma il 31 dicembre si avvicina e dell’atto non c’è traccia.

«La mia opinione – si limita ad aggiungere nel merito Pichetto a Radio 24 – è quella di allargare le autocandidature rispetto a quelli che sono gli attuali siti che nei 40 anni sono stati selezionati.  Se ci sono autocandidature verranno valutate rispetto all’idoneità, non deve essere un’area sismica, non deve essere un’area particolare e bisogna poi arrivare ad una decisione perché nessuno vuole il sito per smaltire scorie, però quando portano il familiare e l’amico a fare la Pet in ospedale non dicono “no, non farla”. Le cosiddette scorie sono 22 blocchi da sei metri per tre, stanzoni,  ormai abbiamo superato i 90mila metri cubi di scorie ospedaliere che teniamo sparse per tutta Italia e nessuno se ne preoccupa. È un dovere che abbiamo come governo, ma anche come italiani e con noi stessi tutte le volte che varchiamo un ospedale».

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