Secondo le stime elaborate da Cerved, si tratta però di contratti ancora poco diffusi in Italia, anche perché i nuovi impianti rinnovabili crescono col contagocce e dunque l’offerta di energia pulita arranca. Se nel nostro Paese ci sono Ppa attivi per circa 2 GW, in Europa il dato sale a 45 GW, scelti dalle imprese per raggiungere più velocemente gli obiettivi di sostenibilità e di coprirsi, almeno in parte, dall’impatto sui costi energetici delle fluttuazioni dei prezzi di mercato.
Specularmente, ciò significa che lungo lo Stivale i margini di crescita per i Ppa sono ancora enormi. Per capire quali vantaggi potrebbero trarne le imprese energivore, Cerved ne ha prese in esame 3.715: si tratta dello 0,4% delle aziende italiane, che genera però 40 miliardi di valore aggiunto (6%), impiega 450.000 addetti e soprattutto rappresenta un quinto dei consumi energetici nazionali.
Cerved ha dunque quantificato la domanda potenziale di Ppa fotovoltaici in questo segmento: l’energia solare potrebbe coprire 9,8 TWh l’anno, circa il 17,5% di quanto consumano le imprese energivore (56.000 GWh).
In questo modo le imprese potrebbero risparmiare 2,6 miliardi di euro nei prossimi 3 anni se il prezzo dell’energia si normalizzasse ai livelli precrisi, e addirittura 4 miliardi di euro se si mantenesse più elevato.
«Nel segmento delle imprese energivore, soprattutto di grandi dimensioni, il Ppa si configura come uno strumento strategico e vantaggioso – commenta Andrea Mignanelli, ad di Cerved – perché favorisce l’utilizzo di fonti energetiche pulite, in particolare il fotovoltaico, supporta la transizione verso gli obiettivi ambientali, consente la stabilizzazione dei costi e la diversificazione dell’approvvigionamento energetico, migliora la competitività delle aziende che lo sottoscrivono».
A livello settoriale, con la sottoscrizione di Ppa a prezzi allineati al costo medio orario dei nuovi impianti rinnovabili il risparmio maggiore in termini assoluti si avrebbe nei metalli (392 milioni di euro in 3 anni), nella chimica (376 milioni) e nella plastica (371), mentre considerando l’incidenza sulla redditività gli effetti più rilevanti si avrebbero nell’agroalimentare (8,9%) e nell’industria casearia e della carne (8,1%), ma anche in quella estrattiva (7,3%) e nella plastica (6,4%).
Dal punto di vista geografico, invece, le aziende energivore sono situate in prevalenza nel nord Italia (percentualmente, in particolare nel triangolo Brescia, Bergamo e Milano), ma a godere dei risparmi sarebbero soprattutto Abruzzo (7,3%), Toscana (6,8%), Molise (6,5%), Sardegna (6,4%), caratterizzate da distretti industriali energivori in cui la transizione energetica rappresenta un volano per la competitività.
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