Come spiega su Horizon The Eu Research & Innovation Magazine Alex Ziemba, un ricercatore di Deltares, un istituto olandese specializzato in acqua e sottosuolo, «Tradizionalmente, la maggior parte delle cose vengono fatte separatamente. Se vuoi un parco eolico, lo metti lì. Se la gente vuole andare a pescare, va lì. Suddividi tutto in un bel piano spaziale marino e ognuno ha le sue piccole aree».
Ziemba, che ha co-diretto il progetto UNITED (multi-Use platforms and co-locatioN pilots boosting cost-effecTive, and Eco-friendly and sustainable production in marine environments) finanziato dall’Ue che sfida questo modo di pensare, ha analizzato le prospettive di condivisione dei siti offshore ed è convinto che sia «Un passo che aiuterà a spianare la strada alle questioni legali sulla comproprietà da affrontare e alla possibile creazione di nuovi posti di lavoro. Il punto chiave per un parco eolico offshore, con condizioni di vento e ubicazione ottimali, è che potrebbe anche sovrapporsi a un ottimo posto per l’acquacoltura. Se non vengono combinati, solo uno può utilizzare questo pezzo di mare ottimale».
UNITED, conclusosi il 31 dicembre 2023 dopo 4 anni di attività, coltivava cozze, ostriche e alghe tra le pale di tre parchi eolici.
Anche se gli oceani e i mari coprono il 70% della Terra, lo spazio marino per realizzare attività produttive è tutt’altro che illimitato e questo ò è particolarmente vero in Europa (e soprattutto nel Mediterraneo), il secondo continente più piccolo del mondo dopo l’Australia. Il norvegese Øivind Bergh dell’Havforskningsinstituttet, concorda: «Lo spazio sta diventando un problema crescente. Se si guarda una mappa dell’Europa e delle aree marine dei diversi Paesi, molti Paesi hanno uno spazio molto limitato».
Oltre a produrre energia eolica, i Paesi e le imprese hanno molte ragioni per guardale all’offshore per nuove opportunità economiche, come le fattorie galleggianti e la coltivazione di prodotti ittici.
Secondo Ziemba, «Quando si prendono in considerazione aspetti pratici come il facile accesso da un porto, le principali località offshore per diversi settori possono spesso sovrapporsi»
I ricercatori di UNITED hanno coltivato i frutti di mare su reti sospese a dei cavi, che sono stati tesi diversi metri sotto la superficie dell’acqua per proteggerli dalle onde e le specie coltivate includevano mitili e vari tipi di alghe, talvolta in combinazione con il ripristino dei banchi di ostriche. Sebbene non esistesse alcun collegamento diretto tra i sistemi di acquacoltura e le turbine eoliche circostanti, la coesistenza ha rappresentato una preziosa condivisione di uno spazio economico. Nel sito di test olandese, a 12 chilometri dalla costa, le reti contenevano alghe. Il sito belga ospitava ostriche piatte e alghe. E in quello tedesco si coltivavano mitili e alghe. La crescita dei frutti di mare e le reti sono stati poi monitorati tramite telecamere, sensori e occasionali viaggi in barca.
Cozze e ostriche possono impiegare circa due anni per raggiungere le dimensioni di mercato, mentre le alghe possono essere raccolte più frequentemente. Ziemba evidenzia che «I rendimenti risultanti erano paragonabili a quelli ottenuti nelle acque più calme vicino alla costa e lontano da altre infrastrutture».
UNITED ha anche raccolto dati sui tassi di crescita, il che dovrebbe consentire ai ricercatori di modellare i potenziali tassi di crescita dell’acquacoltura su vasta scala di mitili, ostriche e alghe nei futuri parchi eolici.
Bergh, che è il responsabile scientifico dell’ Offshore Low-trophic Aquaculture in Multi-Use Scenario Realisation (OLAMUR), un altro progetto di ricerca finanziato dall’Ue – che vede la partecipazione dell’italiana ETT di Genova – che sta installando sistemi di coltivazione di mitili e alghe tra le pale eoliche offshore nella parte danese del Mar Baltico e nella zona tedesca del Mare del Nord.
Mentre UNITED si occupava principalmente di dimostrare se la combinazione di parchi eolici e acquacoltura è fattibile, OLAMUR si concentra maggiormente sui prodotti ittici reali ed è iniziato nel gennaio 2023 e durerà fino alla fine del 2026.
Un sito dimostrativo si trova nella parte danese del parco eolico offshore di Kriegers Flak nel Mar Baltico, uno dei più grandi in Europa.
OLAMUR si basa sul lavoro di progetti precedenti più piccoli incentrati sulle sfide ingegneristiche legate all’inserimento di sistemi di acquacoltura nei parchi eolici. Il team di ricerca studierà i tassi di crescita, la resa e la qualità di cozze e alghe e, per per garantirne la commerciabilità, valuterà i loro profili nutrizionali e il controllo della presenza di contaminanti.
Il mercato delle alghe marine è in crescita poiché possono essere utilizzate per pri odurre di tutto: da alimenti per gli esseri umani ai mangimi per gli animali, dagli imballaggi ai medicinali. Horizon scrive che «Ad esempio, la coltivazione di alghe su larga scala potrebbe contribuire a ripulire l’acqua di mare europea. Nel Baltico e nel Mare del Nord si sono formate zone morte a causa della contaminazione causata dal dilavamento di nitrati e fosforo provenienti dall’agricoltura. Le alghe si nutrono di questi nutrienti inorganici, rimuovendoli dall’acqua».
Bergh fa notare che «Se si coltivano alghe, quei nutrienti in eccesso possono trasformarsi da un problema in una risorsa».
Con l’impegno dell’Ue a proteggere almeno il 30% dei suoi mari entro il 2030, le alghe possono svolgere un ruolo ancora più importante, riducendo l’inquinamento agricolo in aree come il Baltico.
Ziemba è consapevole che «Qualunque industria può essere titubante riguardo all’idea di introdurre nuove attività nelle attivitàin corso e i rischi associati non potranno mai essere eliminati del tutto. Poiché attualmente le compagnie dell’energia eolica di solito non condividono lo spazio, temono che altre infrastrutture nella zona danneggino le loro turbine e, per estensione, interrompano la produzione di elettricità. In caso di tempesta, ad esempio, una boa o un palangaro potrebbero liberarsi dall’ancoraggio e danneggiare una turbina o provocarne l’arresto del funzionamento durante un’operazione di recupero. Hanno bisogno che le loro turbine funzionino il più spesso possibile e che nulla venga danneggiato. Ma i vantaggi derivanti dalla combinazione delle attività sono evidenti e alcuni operatori sono entusiasti della prospettiva di farlo».
Anche per Bergh, «Un approccio multiuso potrebbe rivelarsi vantaggioso per tutti gli interessati . Con lo spazio offshore ottimale che diventa sempre più ristretto, le procedure di autorizzazione nazionali spesso lente e l’Ue che cerca di aumentare la produzione di energie rinnovabili, gli sviluppatori di un parco eolico pianificato che includa una componente di co-utilizzo potrebbero trovare più facile ottenere una licenza. Oltre a questoò, sono possibili alcuni chiari vantaggi operativi. Ad esempio, i parchi eolici e i produttori di acquacoltura potrebbero ridurre i costi condividendo imbarcazioni e sensori utilizzati su navi, boe e turbine per monitorare gli impianti.
In definitiva, la redditività determinerà se le località offshore multiuso emergeranno su base più che sperimentale».
Il team UNITED sta già portando avanti un progetto di follow-up in Belgio, Danimarca, Germania e Paesi Bassi per valutare se l’acquacoltura nei parchi eolici sia commercialmente fattibile.
Ziemba conclude: «Affinché l’attività diventi un business, le persone devono essere in grado di guadagnare denaro. Altrimenti la cosa non decollerà da sola».
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