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Quanti sono in Toscana i potenziali volontari interessati all’ambiente

Si è svolto ieri a Firenze il convegno Sentirsi parte, dove Cesvot, Regione Toscana e Università di Pisa hanno approfondito un argomento che sta diventando cruciale, non solo per gli enti del terzo settore della nostra regione, ma per la tenuta e la salute dell’intera società: la carenza di volontari.

«Abbiamo creato un’occasione di confronto aperta a tutti unendo il mondo del terzo settore, quello della ricerca e delle istituzioni e ci auguriamo una costruttiva e stimolante partecipazione che possa portare a immaginare e progettare nuove pratiche di partecipazione collettiva» spiega il presidente Cesvot Luigi Paccosi (nella foto).

Si è dunque cercato di comprendere meglio chi sono, oggi, i potenziali volontari, quale volontariato hanno in mente, come fare ad entrare in relazione con loro e come devono cambiare le organizzazioni per risultare ancora attrattive, sintetizzando i principali risultati emersi dall’indagine che ha una popolazione di riferimento costituita dai cittadini toscani compresi tra 18 e 70 anni.

Si stima che il 10,7% dei toscani (262mila cittadini) svolgano già attività di volontariato all’interno di un ente del terzo settore (ets), mentre un altro 5,9% (144mila cittadini) fa volontariato ma non in ets e dunque in forme non organizzate: quindi, i volontari toscani in totale sono oltre 400mila. La buona notizia è che potrebbero più che raddoppiare.

Secondo l’indagine i volontari potenziali sono infatti 510mila, il 20,8% della popolazione, con quella giovanili che va dai 18 ai 24 anni particolarmente interessata (36,9%). L’ambiente è però al penultimo posto tra i pensieri dei volontari potenziali, anche se – visti i numeri assoluti – il bacino potenziale resta tutt’altro che banale.

Le preferenze relative ai settori di intervento sono: assistenza sociale e protezione civile (21.9%), cultura,  sport e attività ricreative (21.9%), sanità (15.8%), ambiente (14.5%) e istruzione e la ricerca (11%). Il 40% della popolazione toscana, se dovesse decidere in futuro di fare volontariato, lo farebbe in un ets, mentre il 37%, se dovesse decidere di fare volontariato, lo farebbe in forme non organizzate.

Complessivamente, la percentuale dei volontari potenziali si riduce però al 7,1% (173.144 cittadini) se si considerano solo coloro che si dichiarano disponibili “senza condizioni”, e che dunque potrebbero essere “pronti”, se adeguatamente intercettati dalle organizzazioni, a operare in un ets.

Sono soprattutto la difficile compatibilità con gli impegni familiari (30,5%) e di lavoro (33,7%) a costituire le condizioni (principali) che non consentono ai volontari potenziali di tradurre la propria disponibilità (potenziale) nella decisione effettiva e concreta di impegnarsi in attività di volontariato in ets.

Cosa chiedono dunque i volontari potenziali? Flessibilità sui tempi (30,8%), innovazione nell’organizzazione e nei progetti (19,3%), valorizzazione delle proprie competenze (19,1%), coinvolgimento nelle attività di informazione su attività e iniziative (15,2%).

«Quello che emerge dalle risposte all’indagine – spiegano da Cesvot – è che oggi fare volontariato è sì un’espressione pragmatica di solidarietà e di utilità sociale che tuttavia deve combinarsi con il benessere personale; il sacrificio è sostituito dalla gratificazione, la dedizione è sostituita dalla discontinuità, cioè dalla necessità di rendere compatibile l’attività di volontariato con le altre attività della propria vita. L’appartenenza si realizza senza “identificazione” nei valori dell’associazione. Infine, la gratuità viene riconsiderata alla luce dei costi che i volontari si assumono nello svolgimento delle attività volontarie, costi di cui sempre più spesso si chiede una qualche forma di compensazione (monetaria o meno)».

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