La protagonista della storia non vuole un letto troppo soffice, né troppo rigido; la zuppa non dovrebbe essere troppo calda, né troppo fredda. I politici europei e nostrani hanno spesso una visione simile attorno alle politiche climatiche.
Alcuni pensano siano troppo rigide, impattando negativamente i consumatori e rendendo meno competitive le aziende nostrane. Altri pensano che prezzi troppo bassi siano insufficienti a raggiungere gli obbiettivi climatici. Questo tira e molla tra estremi non ci permette di osservare con attenzione ciò che sussiste nel mezzo, che potrebbe tra parentesi essere la soluzione che mette d’accordo tutti quanti.
L’economia pubblica potrebbe indicare quale sia il livello di prezzi ottimale per raggiungere gli obbiettivi di politica cari ai più: riduzione delle emissioni, compensazione dei più vulnerabili, innovazione tecnologica.
A questo punto possiamo rivolgerci ad un altro racconto presumibilmente di fantasia, proveniente dalla storia del pensiero economico.
La leggenda vuole che un’economista di nome Arthur Laffer abbia usato un fazzoletto per mostrare al presidente Reagan il principio del punto ottimale di tassazione. Secondo l’autore, se le tasse sono troppo alte, l’incentivo ad eluderle o addirittura evaderle è troppo allettante, spingendo al ribasso i ritorni fiscali. Non solo, un sistema fiscale troppo stringente potrebbe soffocare l’attività economica, riducendo la quantità potenziale di ritorni fiscali di qualsiasi tassazione. Tuttavia, una tassazione troppo bassa è semplicemente inefficace a estrarre il massimo potenziale fiscale.
Come indicato dalla figura 1, il prezzo delle emissioni (P) ottimale è a metà tra un punto minimo e uno massimo, dove le risorse fiscali (R).
La politica climatica per eccellenza del sistema europeo è chiamata Emission trading system (Ets). Si tratta di un sistema di aste nel quale le aziende dei settori più inquinanti sono obbligate a comprare permessi per le tonnellate di gas serra emesse.
Possiamo immaginare come il prezzo delle aste operi similmente ad una tassa. Se il prezzo per tonnellata è troppo alto, le aziende abbattono notevolmente le emissioni, limitando la necessità di comprare permessi. In questo caso, otteniamo un alto livello di riduzione dei gas serra, pagando tuttavia costi alti di energia, prodotti manifatturieri e potenzialmente, in perdita di competitività.
Possiamo evitare questi problemi avendo prezzi bassi delle aste Ets, senza tuttavia ottenere un livello ottimale di riduzione delle emissioni, ne tantomeno risorse fiscali. Queste risorse fiscali hanno molteplici usi, tra i quali il finanziamento di vari fondi di investimento pubblici comuni, come il Modernization fund, l’Innovation fund e, in futuro, il Social climate fund.
Il primo è uno strumento atto a modernizzare i sistemi obsoleti che forzano le zone più arretrate ad acquistare grandi quantità di permessi, senza tuttavia avere le risorse adeguate all’abbattimento di emissioni. Il secondo, ha la funzione di accelerare l’innovazione tecnologica al fine di avanzare le tecnologie neutrali al cambiamento climatico. Infine, il Social climate fund sosterrà le famiglie negli investimenti sostenibili e le proteggerà da picchi di prezzo tramite trasferimenti diretti, provenienti dalle aste.
Attualmente, il flusso di denaro quasi giornaliero delle aste Ets è molto alto, superando i 100 mln di euro. La figura 2 ne dà dimostrazione.
Il volume di risorse generate dall’Ets ha raggiunto il picco nel febbraio del 2022, quando i prezzi avevano toccato il valore massimo di asta di 97.51 per tonnellata, con valori di massimo nelle aste di 120 euro per tonnellata. Dato questo valore, possiamo attenderci ritorni fiscali sempre crescenti da qualsiasi riforma che rafforzi il segnale di prezzo?
La risposta semplice è no. Da un recente studio pubblicato sulla storica rivista di economia Metroeconomica, sembra che il valore massimo di ritorni fiscali dall’Ets si raggiungerebbe quando i prezzi si aggirano tra gli 86 e i 125 euro a tonnellata.
La variabilità del prezzo ottimale deriva dalla scarsità nei permessi. In altre parole, quando i permessi sono scarsi rispetto alla domanda delle aziende, il prezzo tende ad alzarsi. Quando i permessi messi all’asta sono troppi, i prezzi a scendere.
Per questo motivo, è sempre importante tenere sotto controllo l’indicatore di copertura delle aste, ovvero il rapporto tra domande di titoli e numero di titoli effettivamente venduti. Quanto questo valore raggiunge l’unità, abbiamo un’asta nella quale ogni compratore presenta una singola offerta, raggiungendo però il successo nella transazione. Qualora il rapporto superi l’unità, le aste stanno perdendo efficienza e l’offerta di permessi non è raggiunta dalla domanda. Inoltre, più è maggiore dell’unità, meno le aste sono efficienti.
Richiamando l’attenzione sulla figura 3, è possibile notare come riduzioni del “Cover ratio” appunto, anticipino aumenti di prezzo dell’Ets.
Il prezzo ottimale del carbonio dovrebbe essere non troppo alto, non troppo basso. I permessi all’asta non troverebbero essere troppi, né troppo scarsi.
Come Riccioli D’Oro, dobbiamo cercare un livello ottimale di riduzione delle emissioni che ci permetta di compensare chi ne ha bisogno e fornire un segnale corretto a chi vuole inquinare meno.
L’articolo Riccioli D’Oro, Laffer e i prezzi sulle emissioni di gas serra in Unione europea sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.
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