
In questi impianti s’impiegano infatti grassi animali o oli vegetali (come la colza) da semi destinati alla mangimistica, operando dunque in parallelo alla filiera agroalimentare e dando così uno sbocco sostenibile a materiali altrimenti gravati da scarsa appetibilità di mercato.
Il motivo delle frizioni? «La materia prima costa più del carbone – afferma Luca Miris, presidente di Assoebios – L’energia prodotta con il carbone, oggi, viene pagata dai cittadini 500 euro al megawattora, mentre all’ipotetica energia pulita prodotta con i bioliquidi sostenibili viene imposto un prezzo massimo inferiore alle quotazioni dei mercati elettrici, rendendo di fatto insostenibile la produzione, costringendo quindi gli impianti a fermarsi».
Al contempo, e paradossalmente, questi impianti erano stati inseriti dal ministero della Transizione ecologica nel Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas, prevedendo l’applicazione da parte di Terna e Arera in due possibili finestre temporali di attivazione: il mese di ottobre o quello di novembre, appena finito. Terna e Arera finora hanno però dato il via libera solo ai grandi impianti superiori a 1 MW (circa 60 per una potenza complessiva di 770 MW) e non anche a quelli inferiori a 1 MW (circa 400 per una potenza di 230 MW) rappresentati da Assoebios.
Un problema denunciato dall’associazione già nelle scorse settimane, ma ancora non risolto. «Le tempistiche del Piano di contenimento dei consumi di gas non sono state rispettate – incalzano da Assoebios – mentre le centrali a carbone possono produrre alla massima potenza facendo guadagni record e senza che su tali impianti operi alcun tetto alla valorizzazione massima dell’energia per espressa previsione del ddl Bilancio (art, 9, comma 8 lettera b), i numerosi piccoli impianti alimentati a bioliquidi sostenibili di filiera sono costretti a fermarsi. Prepariamoci: il prezzo dell’energia aumenterà ancora perché i produttori di energia rinnovabile non produrranno più».
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