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Rinnovabili contro paesaggio, il conflitto che non c’è

Nessuna tecnologia umana è a impatto zero, neanche gli impianti rinnovabili, e per quanto riguarda le ricadute sul paesaggio è necessaria una corretta valutazione sulle aree idonee – che dal Governo Meloni tarda ad arrivare, e con le peggiori premesse –, ma l’urgenza di fare spazio sui territori alle energie pulite non può essere messa in discussione.

L’alternativa è lasciare campo aperto alla crisi climatica in corso e alle relative conseguenze, tra le quali la distruzione del paesaggio così come lo conosciamo.

È quanto emerso dalle anticipazioni del rapporto Lo sviluppo delle rinnovabili e il paesaggio italiano, presentato oggi a Rimini nel corso di Key energy, a cura di Althesys ed European climate foundation.

«La pianificazione del territorio deve contemperare produzione energetica e tutela dell’ambiente e del paesaggio, permettendo, al contempo, alle amministrazioni di rilasciare le autorizzazioni in modo agile e funzionale ai target 2030 – spiega l’economista che ha guidato il team di ricerca, l’ad di Althesys Alessandro Marangoni – Le comunità sono chiamate a svolgere un ruolo attivo nello sviluppo delle energie pulite, partecipando ai processi decisionali e godendo dei benefici ambientali, sanitari ed economici creati dagli impianti che ospitano».

Ogni territorio e ogni superficie ha le proprie specificità, con diversi potenziali, diversi costi e diversi impedimenti morfologici, ecologici e paesaggistici. Resta l’annosa questione delle autorizzazioni. La situazione è migliorata, ma ancora oggi solo un impianto su dieci riesce ad ottenere il permesso.

La ricerca ha messo a confronto i progetti rinnovabili dal 2021 al 2023 con l’effettivo installato. Emerge che le richieste di autorizzazione raccolte in soli tre anni e solo per gli impianti utility scale sarebbero sufficienti a centrare gli obiettivi del Pniec al 2030 (80 GW). Lo studio mostra però che i titoli rilasciati sono dieci volte inferiori alle richieste.

Le richieste annue d’autorizzazione sono aumentate da poco più di 200 progetti totali del 2021 ai 500 del 2022, a quasi 700 nel 2023, ma le nuove installazioni in questi tre anni si sono fermate a 10 GW. E si tratta soprattutto di piccoli impianti.

Il fotovoltaico, protagonista del mercato, oggi è in larga parte residenziale-commerciale, con il 64% delle installazioni 2023 di potenza inferiore a 1 MW, mentre le simulazioni indicano come una quota molto più alta di potenza dovrà essere di scala industriale (oltre 10 MW).

Tutto questo quanto costa in termini di suolo occupato dagli impianti rinnovabili? Alla fine del terzo trimestre 2023, il suolo occupato a questo scopo in Italia arrivata a oltre 16mila ettari, ovvero lo 0,13% della Superficie agricola utilizzabile (Sau).

Analizzando la stessa superficie divisa per regioni si nota che l’area più estesa è sempre in Puglia con quasi 4.352 ettari pari al solo 0,34% del territorio agricolo regionale utilizzabile; al secondo posto c’è la Sicilia (1615 ha, 0,12%) al terzo il Lazio (1585,7 ha, 0,23%).

«Gli spazi non mancano, bisogna solo coordinarsi – continua Marangoni – E il paragone sugli impatti paesaggistici va fatto nei termini corretti, non tra impianti rinnovabili e natura incontaminata, ma tra rinnovabili e la loro alternativa fossile, ovvero siti di trivellazione, centrali termoelettriche, rigassificatori, raffinerie».

Non è una novità: le associazioni ambientaliste che credono nello sviluppo sostenibile senza ancorarsi a una mera quanto sterile conservazione dell’esistente – nel caso specifico Legambiente, Fai e Wwf – hanno elaborato da oltre un anno una posizione congiunta sui cosiddetti “paesaggi rinnovabili”.

Per migliorare l’accettabilità sociale degli impianti, il nuovo studio pone adesso l’accento sulla necessità di un maggiore coordinamento tra organi dello Stato, suggerendo di percorrere la strada maestra di responsabilizzare i territori nella produzione energetica locale.

Ridurre la dipendenza esterna, trasferire parte dei benefici delle rinnovabili con la riduzione dei prezzi per favorire la partecipazione attiva delle comunità sono alcuni degli elementi su cui puntare. Ma serve anche una maggiore attenzione alle ricadute locali dei benefici e dei vantaggi legati alle rinnovabili. Un contributo può arrivare dalle Comunità energetiche, ma da sole non possono bastare dato che si tratta di uno strumento comprensivo di piccoli impianti fino a 1 MW.

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