La versione attualmente in vigore della direttiva, approvata nel 2018, impone di arrivare al 2030 con almeno il 32% del consumo di energia finale coperto da fonti rinnovabili. Attraverso l’iniziativa RePowerEu, avanzata dalla Commissione Ue dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la proposta – approvata anche dall’Europarlamento – era di alzare l’asticella al 45%.
Un’ambizione oggi smorzata: l’accordo provvisorio prevede di portare le rinnovabili al 42,5% del mix energetico europeo al 2030, indicando agli Stati membri il target del 45% come obiettivo raccomandato ma solo volontario.
«È molto deludente vedere l’ambizione sull’obiettivo dell’energia rinnovabile dell’Ue annacquata a causa di indebite influenze sulla Red da parte della lobby nucleare e dei suoi sostenitori tra i governi dell’Ue – commenta Cosimo Tansini per l’Eeb, la più grande rete di associazioni ambientaliste d’Europa – Un obiettivo obbligatorio del 45% sarebbe già debole e superato. Gli scenari mostrano che il 50% è possibile e raccomandabile per rispettare i nostri obiettivi climatici dell’accordo di Parigi, quindi qualsiasi valore inferiore al 45% mostra semplicemente disunità europea e mancanza di ambizione. Ora è fondamentale che i Paesi dell’Ue si impegnino in una forte decarbonizzazione e in traiettorie di diffusione delle energie rinnovabili col chiaro obiettivo di superare gli obiettivi fissati nella Red».
Quello verso il 42,5% resta comunque di un percorso sfidante, in quanto prevede di raddoppiare l’attuale contributo delle rinnovabili nel mix energetico europeo (nel 2021 al 21,8% in Ue, 19% in Italia) entro sette anni, sebbene molti Paesi del Vecchio continente siano già assai avanti (Islanda 85,8%, Norvegia 74,1%, Svezia 62,6%, Finlandia 43,1%, Lettonia 42,1%, Albania 41,4%, etc).
In altre parole, per l’Italia significa installare circa 10 GW di nuovi impianti l’anno (nel 2022 sono stati appena 3).
Per raggiungere davvero gli obiettivi al 2030, Consiglio e Parlamento europei hanno concordato sia sotto-obiettivi per accelerare l’integrazione delle energie rinnovabili nei settori economici in cui l’incorporazione è stata finora più lenta (trasporti, industria, edifici, teleriscaldamento e teleraffrescamento), sia procedure autorizzative accelerate per realizzare gli impianti industriali necessari a produrre energia rinnovabile.
Nel merito, in primis la diffusione delle energie rinnovabili verrà inquadrato come di “interesse pubblico prevalente”, il che limiterà le possibilità di obiezione legale verso i nuovi impianti.
Gli Stati membri saranno inoltre chiamati a definire delle “aree di accelerazione” in cui in progetti di impianti rinnovabili possano essere sottoposti ad un iter di permitting semplificato e rapido; si parla di massimo 12 mesi all’interno di queste aree e non oltre i 24 mesi al di fuori (oggi in Italia servono in media 7 anni).
Per quanto riguarda invece i vari sub-obiettivi, i target inseriti nell’accordo provvisorio sono molti. Il comparto dell’industria, ad esempio, è chiamato ad aumentare l’uso di energia rinnovabile almeno dell’1,6% ogni anno. Gli edifici, invece, dovranno essere alimentati almeno al 49% da fonti rinnovabili entro il 2030. Si rafforzano anche i criteri di sostenibilità per l’impiego a fini energetici delle biomasse, in modo da ridurre il rischio di una produzione di bioenergia insostenibile.
Particolarmente variegato, infine, il corpus di sub-obiettivi in ambito trasporti. L’accordo provvisorio dà la possibilità agli Stati membri di perseguire un -14,5% per i gas serra entro il 2030 grazie alla diffusione delle rinnovabili, o di raggiungere almeno il 29% di rinnovabili nel consumo finale di energia del comparto entro lo stesso anno.
Al contempo, si fissa un sub-obiettivo combinato vincolante del 5,5% per i biocarburanti avanzati (generalmente derivati da materie prime non alimentari) e i carburanti rinnovabili di origine non biologica (principalmente idrogeno rinnovabile e carburanti sintetici a base di idrogeno) nella quota di energie rinnovabili fornite al settore dei trasporti. All’interno di questo sub-obiettivo, vi è anche un requisito minimo dell’1% di combustibili rinnovabili di origine non biologica (Rfnbo) nella quota di energie rinnovabili fornite al settore dei trasporti entro il 2030.
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