Secondo Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, «La crisi climatica minaccia sempre di più la montagna. Quanto accaduto ieri sul ghiacciaio della Marmolada ci dimostra che non c’è più tempo da perdere. La montagna sta collassando e sta diventando sempre più fragile. Di fronte a questo scenario, l’Italia deve accelerare il passo sulle politiche climatiche dove è in forte ritardo, approvando al più presto l’aggiornamento del piano nazionale integrato energia e clima agli obiettivi del Repower Eu e un piano di adattamento al clima. Servono allo stesso tempo scelte energetiche coraggiose che puntino con forza e vigore sullo sviluppo delle rinnovabili, snellendo definitivamente gli iter autorizzativi dei nuovi impianti, senza continuare ad investire su gas e perdere tempo sulla realizzazione di nuove centrali nucleari. A tal riguardo il nostro auspicio è che l’europarlamento, che si sta riunendo per il voto in plenaria, bocci l’attuale tassonomia verde che considera gas fossile e nucleare come fonti energetiche sostenibili. Per fronteggiare la crisi climatica, servono azioni e interventi coerenti e sostenibili. Se riusciremo a limitare il riscaldamento globale sotto la soglia dei 1,5 gradi come nell’obiettivo degli accordi di Parigi, a fine secolo sopravvivrà un terzo dei ghiacciai, in caso contrario i ghiacciai alpini scompariranno del tutto».
Il Wwf ricorda che «Negli ultimi decenni i ghiacciai alpini sono in forte ritiro: l’ultimo Catasto dei ghiacciai italiani dimostra che la superficie dei ghiacciai italiani è passata dai 519 km2 del 1962 (Catasto Cgi-Cnr), ai 609 km2 del 1989 (catasto World Glacier Inventory, con dati raccolti negli anni ’70-80), agli attuali 368 km2, pari al 40% in meno rispetto all’ultimo catasto. Contemporaneamente, il numero dei ghiacciai è cresciuto: 903, contro gli 824 nel 1962 e i 1,381 nel 1989, ma l’aumento rispetto al 1962 è un altro segnale di pericolo perché dovuto all’intensa frammentazione che ha ridotto sistemi glaciali complessi a singoli ghiacciai più piccoli. Negli ultimi 150 anni alcuni ghiacciai hanno perso oltre due chilometri di lunghezza, ma a ridursi è anche il loro spessore che in una sola estate può assottigliarsi anche di 6 metri. Con la media delle temperature degli ultimi anni, i ghiacciai sotto i 3.500 metri sono destinati a sparire nel giro di 20-30 anni.Se le temperature continueranno ad aumentare, nel giro di pochi decenni i ghiacci eterni dalle Alpi Orientali e Centrali potrebbero ridursi drasticamente o scomparire. Rimarrebbero solo sulle Alpi Occidentali, quelle più alte. Inoltre, i ghiacciai sono sempre più scuri, e quindi più vulnerabili alle radiazioni solari».
Dati confermati dalla Carovana dei ghiacciai, la campagna di Legambiente che insieme al Comitato Glaciologico italiano dal 2020 monitora lo stato di salute dei ghiacciai alpini, dai quali emerge che «In particolare, il ghiacciaio della Marmolada tra il 1905 e il 2010 ha perso più dell’85% del suo volume. Nell’ultimo decennio si è assistito ad una accelerazione dei fenomeni della fusione glaciale. La linea di tendenza che sino al 2000 consentiva di prevedere un esaurimento nell’arco di un secolo si è successivamente modificata tanto da far presagire la scomparsa del ghiacciaio entro i prossimi 15/20 anni. Oltre alla Marmolada, situazione preoccupante anche per diversi altri ghiacciai alpini. Dall’ultimo monitoraggio di Carovana dei ghiacciai realizzato nell’estate del 2021, è emerso che i tredici ghiacciai alpini monitorati più il glacionevato del Calderone, in Abruzzo, perdono superficie e spessore frammentandosi e disgregandosi in corpi glaciali più piccoli. I ghiacciai dell’Adamello hanno perso oltre il 50% della superficie totale, quelli del Gran Paradiso circa il 65%. In Alto Adige 168 ghiacciai si sono frammentati in 540 unità distinte. Il ghiacciaio orientale del Canin, in Friuli, oggi ha uno spessore medio 11.7 m, – 80 m rispetto a 150 anni fa. Il ghiacciaio del Calderone, dal 2000, si è suddiviso in due glacionevati e risponde alle oscillazioni climatiche in modo molto più veloce rispetto ai ghiacciai presenti sulle Alpi».
Come anche il Wwf denuncia da anni, «Le conseguenze sono devastanti, non solo per l’ambiente e il paesaggio montano, per le comunità e le attività economiche, dal turismo all’energia. Scrivevamo già anni fa che i deflussi estivi dei fiumi derivano per la maggior parte dalla fusione glaciale. Venendo meno i ghiacciai, svanisce anche il loro contributo ai torrenti alpini e ai fiumi della Pianura Padana, compreso il Po con significative conseguenze sull’approvvigionamento idrico per la popolazione e per le attività economiche, a cominciare dall’agricoltura e dalla produzione idroelettrica e termoelettrica (questo lo scrivevamo prima dell’attuale, gravissima siccità). Aumenta anche il rischio dei cosiddetti glacier hazards, cioè i rischi legati all’azione diretta del ghiaccio e/o della neve e potrebbero portare a valanghe di ghiaccio e ad alluvioni catastrofiche per esondazione di laghi glaciali, come quella verificatasi nell’estate del 2019 per il collasso del ghiacciaio Zermatt in Svizzera».
Vanda Bonardo, responsabile nazionale Legambiente Alpi. È molto preoccupata: «I ghiacciai alpini sono in codice rosso Nell’ultimo secolo hanno perso almeno il 50% della loro superficie. Di questo 50%, il 70% è sparito negli ultimi 30 anni con un’accelerazione inaudita negli ultimi anni. La combinazione tra clima mite e mancanza di neve dell’inverno 2021/2022 sommati alle alte temperature di questi giorni costituiscono una sorta di tempesta perfetta per la montagna rendendola molto più fragile e pericolosa. Ovunque sui ghiacciai si scorgono ruscelli di acqua, i torrenti impetuosi che ne derivano raccontano di un’emorragia senza pari. Ultime urla di un’agonia che dovremmo cogliere come monito al cambiamento. Per questo è fondamentale mettere in campo anche scelte innovative di sviluppo locale con forti azioni di mitigazione e adattamento per il turismo come per tutti gli altri ambiti. Un messaggio che rilanceremo anche con la prossima edizione di Carovana dei ghiacciai, che a metà agosto è pronta a tornare ad alta quota per monitorare i ghiacciai alpini, compreso quello della Marmolada dove siamo stati nel 2020 in occasione della prima edizione».
Il Wwf conclude con un appello al Governo Draghi: «I dati e le analisi sono quindi disponibili da tempo: è l’azione che manca. Il Wwf chiede quindi al Governo di agire sia per la mitigazione (abbattimento delle emissioni di gas climalteranti) sia per l’adattamento (misure per far fronte al danno e agli impatti già in atto). Per la mitigazione, serve una legge sul clima, che renda la crisi climatica un elemento imprescindibile di valutazione per tutte le politiche. Serve inoltre l’urgente aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC), compilato prima dell’aggiornamento degli obiettivi europei e dei prezzi alle stelle del gas: oggi, senza ulteriori tentennamenti, occorre premere l’acceleratore sulle fonti rinnovabili e su risparmio ed efficienza energetica, con un piano di portata davvero eccezionale.
Va anche, e finalmente, varato il Piano Nazionale per l’Adattamento al Cambiamento Climatico. Ricordiamo che un piano fu varato nel 2017, sottoposto a consultazione, riaggiornato nel 2018, sottoposto alla Conferenza Stato Regioni e poi a Valutazione Ambientale Strategica: ora pare vada riscritto daccapo, ma nessuno sa chi e con che tempi lo stia facendo. L’8 luglio il ministro Cingolani sarà in Val d’Aosta: una ottima occasione per il ministro della Transizione Ecologica per dire cosa intende fare per contribuire alla lotta contro il riscaldamento globale e per dotare finalmente l’Italia di un piano di adattamento a quei cambiamenti ormai inevitabili».
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