Una tendenza che porta con sé il ripetersi di cicli sempre più frequenti di siccità, alternati a precipitazioni concentrate sotto forma di alluvioni, con ben 5 crisi idriche solo negli ultimi 15 anni.
In questo contesto i dissalatori rappresentano una soluzione tecnologica sempre più necessaria per garantire un approvvigionamento sostenibile di acqua potabile, e la Toscana rappresenta la Regione d’Italia più avanzata su questo fronte, con quattro dissalatori già in funzione (a a Capraia, Punta Ala, Giglio, Giannutri) e uno in via di realizzazione (all’Elba).
Si tratta di un tema già approfondito su queste colonne (si veda qui, qui e qui), cui l’Autorità idrica toscana (Ait) ha deciso di dedicare tre mini video-documentari – disponibili gratuitamente sulla pagina YouTube dell’Authority – per spiegare il funzionamento degli impianti e sfatare i pregiudizi che li accompagnano.
«Ad oggi la Toscana è la regione italiana con il maggior numeri di dissalatori, pur se di piccole e medie dimensioni – sottolineano dall’Autorità – Se non abbiamo più piogge tali da consentire riempimenti sufficienti delle falde acquifere, dobbiamo cominciare a pensare di produrre acqua dal mare».
Il primo dei tre documentari (riportato in fondo pagina) è dedicato all’isola di Capraia, dove il dissalatore è in funzione dal 2004 producendo 100mila metri cubi di acqua all’anno, con punte estive di 700 mc il giorno.
Come spiega Mirco Brilli, il direttore del servizio idrico integrato di Asa – la partecipata pubblica che gestisce il servizio nell’area – il processo ha inizio a partire dai pozzi realizzati lungo la linea di costa, che emungono acqua di mare per inviarla poi al dissalatore: qui l’acqua viene microfiltrata e poi dissalata tramite un sistema a osmosi a membrane.
Il prodotto in uscita è un’acqua distillata (o meglio demineralizzata), che prima di essere immessa nell’acquedotto viene resa potabile passando in contenitori riempiti di roccia dolomitica, in grado di restituire un adeguato contenuto salino (in primis calcio e magnesio) all’acqua. Il risultato finale è «un’acqua di ottima qualità, praticamente coincidente a un’acqua sorgiva», evidenzia Brilli.
Oltre al prodotto c’è anche lo scarto, ovvero la famigerata salamoia. Di cosa si tratta? «Sui dissalatori ci sono tanti pregiudizi rispetto al loro impatto ambientale, vero o presunto – argomenta il direttore dell’Ait, Alessandro Mazzei (nella foto) – Uno di questi riguarda lo scarico che il dissalatore rilascia dopo aver prodotto acqua potabile, ovvero la salamoia: si tratta di acqua che dal punto di vista visivo è uguale a all’acqua di mare, ha una concentrazione di sale maggiore ma gestita assolutamente bene».
Nessun impianto industriale è a impatto zero, dissalatori compresi, ma i vantaggi superano di gran lunga gli impatti, rendendo il processo ampiamente sostenibile.
Basti osservare che il dissalatore è stato fondamentale per garantire autonomia idrica all’isola di Capraia, che adesso non dipende più dalle navi cisterna – con le relative emissioni inquinanti e climalteranti – che portavano l’acqua potabile sull’isola, quando le condizioni meteo-marine lo consentivano; al contempo, garantire la continuità della fornitura di acqua tramite dissalazione è stato fondamentale per rendere possibile lo sviluppo dell’isola, a partire dal comparto turistico.
Restando fedele a quest’approccio, Capraia sta continuando a investire innovando tutte le proprie infrastrutture per creare un’isola “smart” anche sul fronte dell’acquedotto: ad esempio, è in corso uno sforzo importante per sostituire i contatori tradizionali con nuovi modelli, che permettano sia la telelettura sia per dare gli utenti informazioni in tempo reale sui propri consumi idrici.
L. A.
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